Dan Peterson

La biblioteca di RU e dintorni: Per me … numero 1

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La copertina del libro
La copertina del libro

Riprendo dopo qualche tempo la rubrica “La biblioteca di RU e dintorni“, in cui segnalo testi utili in ambito risorse umane, oggi vi parlo di “Per me … numero 1” edito da Egea.

La scorsa settimana con AIDP Marche abbiamo ospitato ad Ancona per la presentazione del libro gli autori: il Prof. Dino Ruta ordinario di Organizzazione Aziendale e Management Sportivo alla Bocconi di Milano e Coach Dan Peterson uno dei migliori allenatori di basket in Italia che nella sua esperienza in panchina ha vinto tutto quello che c’era da vincere, con la Virtus Bologna prima e l’Olimpia Milano poi.

Insieme hanno scritto il libro di cui sopra, che come sottotitolo riporta “Aneddoti (sportivi e non) per allenarsi da Leader“; un vero e proprio trattato sulla leadership e team leadership che prende spunto dalla biografia di Coach Peterson per raccontarci come sia possibile allenarsi da leader ed essere in grado di gestire al meglio i propri collaboratori, in campo come in ufficio.

Tanti gli spunti che emergono dal testo, dove alla fine di ogni capitolo della vita di Coah Peterson, il Prof. Ruta rivisita gli episodi raccontati in chiave manageriale, consegnando al lettore degli strumenti pratici da mettere subito in atto.

Personalmente ho letteralmente vivisezionato il testo, difficile condensare il contenuto in poche righe ma credo valga la pena lanciarvi alcuni degli spunti che mi sono maggiormente rimasti impressi raccogliendoli per punti.

1) ATTITUDINI E PASSIONI PROFESSIONALI

Quanti di noi oggi si sentono di poter dire di svolgere effettivamente il lavoro che hanno sempre sognato di fare? Credo pochi eppure ognuno di noi ha insite delle attitudini a poter svolgere meglio determinati compiti anzichè altri, attitudini che ci piace chiamare in un’altro modo PASSIONI, alzarsi la mattina e sapere di affrontare una nuova giornata lavorativa che collima con il soddisfare le nostre passioni è il miglior viatico per avere una automotivazione intrinseca e svolgere al meglio i nostri compiti. Nello sport come nel lavoro spesso abbiamo “fuoriclasse” che però “giocano” nel ruolo sbagliato con il risultato che non avremo mai il massimo da quelle persone e gli stessi risulteranno poco motivati nello svolgere compiti che non sentono propri, con grossi danni per lor e per l’azienda; analizziamo quindi bene le attitudini delle persone che selezioniamo, una delle chiavi per avere successo come team è quella di “avere persone giuste al posto giusto“.

2) TALENTI

Chi mi segue sa bene come la penso quando sento la parola talenti, per chi per la prima volta si imbatte in questo blog giova ripetere che per il sottoscritto il talento non esiste, nessuno nasce “imparato” o con particolari doti innate, siamo noi che seguendo le nostre attitudini, lo costruiamo giorno per giorno automotivandoci nel raggiungere i livelli più alti. Il testo ci ricorda che non basta avere le tecnicalità per riuscire in automatico, c’è anche la dimensione umana che troppo spesso chi gestisce team sia a livello sportivo che lavorativo tralascia, saper leggere dentro le persone è fondamentale per farle rendere al massimo.

3) FOLLOWERSHIP

Per diventare un buon leader è necessario essere prima un buon follower, che significa essere un buon follower? Andate a leggere qui

4) STRATEGIC THINKING

Un buon leader deve sempre vedere avanti, avere un pensiero strategico che spesso lo porta anche fuori dai binari (think out of the box), tracciando nuovi sentieri, anticipando quello che sarà per arrivare prima degli altri. Avere un pensiero strategico significa: anticipare, sfidare, interpretare, decidere, allineare e imparare.

5) CULTURAL AGILITY

In un mondo come quello attuale siamo tutti chiamati a guardare oltre i limiti di casa nostra, significa pensare ad una forte integrazione culturale con persone che provengono da altre parti del mondo, significa mettersi in discussione e non pensare che il nostro modo è il modo di fare le cose. Oggi il mercato del lavoro è worldwide, le aziende sono internazionali, se non siamo capaci di adattarci all’ambiente dove operiamo avremo grossi problemi e non otterremo mai risultati.

6) RELAZIONI E CONFLITTI

I risultati di una società sportiva così come di un’impresa dipendono anche dalla qualità delle relazioni che essa possiede con attori esterni e dalla credibilità che il management è in grado di esprimere nell’ambiente in cui opera; mappare gli stakeholder per l’impresa è fondamentale per sapere come gestire al meglio le relazioni. Parallelamente anche saper gestire i conflitti è altrettanto importante, anche in questo caso può sembrare banale eppure in moltissimi casi non gestiamo proprio nulla, si preferisce non parlare, fare finta di niente augurandosi che prima o poi la cosa passi; è proprio la mancanza di comunicazione a far si che i conflitti portano spesso alla paralisi sia delle relazioni che delle organizzazioni stesse. Mi piace far notare che siamo riusciti a creare una sitcom con la non gestione dei conflitti, Camera Cafè è l’emblema di quello che accade dentro alle aziende, quando piuttosto che aprire un dialogo costruttivo con i collaboratori si preferisce girare la faccia dall’altra parte.

7) DISTRIBUTED LEADERSHIP

E’ indiscutibile che ogni professionista sia esso uno sportivo che un collaboratore in azienda reca in se obiettivi personali, è normale e giusto che sia così (sarebbe grave il contrario), per raggiungere il risultato collettivo è importante far si che le prestazioni individuali si armonizzino con quelle degli altri singoli componenti del team in modo da canalizzarle per raggiungere la prestazione collettiva sviluppando l’interdipendenza.

8) FIDUCIA E IDENTITA’

Parlavo di obiettivi singoli da conciliare con gli obiettivi collettivi, come? Sicuramente utilizzando capacità sociali ed empatia, si trasmette fiducia non solo con le parole ma soprattutto con i fatti, con le emozioni, il team leader deve essere il primo a “crederci” qualunque sia l’obiettivo finale. L’identità si costruisce con il coinvolgimento, dobbiamo sviluppare relazioni di fiducia, interessandoci dei nostri collaboratori non solo in termini lavorativi ma a 360 gradi in questo Olivetti, ad esempio, era un maestro.

9) SCONFITTE ED EMOZIONI

C’è una frase che usa Dan Peterson che trovi illuminante “se non perdi, non puoi vincere“, la differenza la fa come si vivono le sconfitte; dobbiamo essere bravi a trasformare il negativo in positivo. L’assunzione di responsabilità e la fiducia nei propri mezzi mitigano la dimensione emotiva della sconfitta facendo prevalere la razionalità.

10) MENTALITA’ VINCENTE E MOTIVAZIONI

Una diretta conseguenza del punto 9 è che chi ha una mentalità vincente riesce a sostenere la motivazione anche quando arrivano le sconfitte, la prestazione dipende dalle competenze che abbiamo acquisito nel tempo e dalla motivazione che ci mettiamo nel raggiungere il risultato finale.

Non mi resta cha augurarvi buona lettura.

Alla prossima!!

Allenatore Leader – Leader Allenatore

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Conte, senza dubbio un leader
Conte, senza dubbio un leader

Nel coaching sportivo così come in quello aziendale, vengo spesso interpellato da società ed aziende che sentono la necessità di inserire nel loro staff un coach che alleni la mente in modo specifico.

Chiaramente il primo contatto in tal senso è senza dubbio oltre che la dirigenza anche l’head coach altrimenti definito capo allenatore, colui che ha in mano le redini della squadra e che gestisce in primis il rapporto con i giocatori. Spesso ho parlato di team building, di team coaching ma raramente ho toccato la figura di chi è chiamato a gestire la squadra; l’allenatore ed il suo staff sono fondamentali per il successo o meno del team.

Talvolta accade che l’allenatore sia l’ultimo a volersi mettere in discussione, ti indica magari quello e quell’altro giocatore che secondo lui ha bisogno di supporto ma difficilmente mette sul piatto la possibilità che se un giocatore o la squadra non performa come dovrebbe, la colpa potrebbe anche essere del suo modo di gestire. Mi piace ricordare quello che dice Dan Peterson, uno tra i più grandi allenatori di basket in Italia “esistono i coach sarti ed i coach stilisti: i primi creano il gioco sulla base dei giocatori che hanno a disposizione, i secondi costruiscono la squadra sulla base di quello che è il tipo di gioco in cui credono” ecco personalmente ritengo che un allenatore debba essere sempre un sarto ed adattare giochi e metodi di allenamento a seconda degli individui che compongono il team, sono pochi quelli che possono concedersi di essere stilisti (nel calcio ad esempio Arrigo Sacchi è sicuramente uno stilista), normalmente sono quelli con grande esperienza e che vengono ingaggiati dalle società di rilievo che possono permettersi di prendere qualsiasi giocatore sia necessario al modulo dell’allenatore.

Per essere un leader vero all’allenatore non basta solo avere le skills tecniche occorre anche dell’altro; da dove nasce la leadership dell’allenatore? Nella mia opinione ci sono dei pilastri fondamentali:

1) Quando si forma una squadra, i giocatori che arrivano per quanto capaci se non addirittura campioni, messi insieme non sono ancora team ma un gruppo di individui, non è detto che lo diventino; questo il motivo di molti fallimenti di squadre che sulla carta dovevano dominare ed in realtà sono naufragate; occorre quindi lavorare nella direzione di costruire subito un clima di fiducia e rispetto reciproco.

2) Usare subito il plurale anzichè il singolare quindi: “nostra” squadra anzichè “mia” squadra, “noi” anzichè “io”, la leadership è plurale non singolare .

3) Coinvolgimento massimo di tutti dal primo all’ultimo, nelle riunioni mai fare monologhi, parlare e cofrontarsi con tutti nello staff, con la dirigenza, persino con il magazziniere, far sentire tutti importanti.

4) Stabilire poche regole e chiare, condivise da tutti.

5) Dedicare tempo a tutti i membri del team, non solo durante l’allenamento ma anche a lato dello stesso, coinvolgendoli e facendoli sentire parte importante, in poche parole prendersi cura di loro, quello che gli americani chiamano “care“.

6) Domandare!!! Nei dialoghi siano essi singoli con i giocatori o collettivi con tutta la squadra, domandate, fate parlare i membri del team, fare sermoni senza possibilità di replica non porta da nessuna parte, alla fine entrano da un orecchio ed escono dall’altro, totalmente inefficaci.

7) Mai e poi mai sottolineare il negativo e dare il positivo come scontato, può sembrare una banalità ma vi assicuro che ci sono molti allenatori che sono pronti a farsi sentire quando ci sono cose negative ma che si dimenticano di sottolineare i progressi e le cose fatte bene da parte del team. Riconoscete e premiate quando è stato fatto un buon lavoro.

Questi sono le mie personali basi, a cui segue molto altro chiaramente; ho parlato dal lato sportivo, non ci vuole molto a capire che le stesse regole valgono per la gestione di qualsiasi gruppo.

Alla prossima!!

Followership, ovvero dove nasce la Leadership

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followership
I bravi follower? I leader di domani

In questi giorni di vacanze natalizie mi sto dedicando alla lettura del libro scritto da Dan Peterson e Dino Ruta dal titolo “Per me… numero 1” (edizioni Egea), un vero e proprio trattato sulla leadership che prende spunto dalla narrazione della vita di “Coach” Dan Peterson, sicuramente il più grande allenatore americano di basket in Italia.

Mi ha colpito in modo particolare quando Ruta, narrando uno dei primi periodi di vita lavorativa di Coach Peterson negli Stati Uniti, parla di “Followership“, un concetto che in realtà riporta all’omonimo libro di Barbara Kellerman professore in business administration all’università di Harvard.

Suona strano parlare di “follower” quando in realtà libri e corsi formativi ci bombardano con il concetto di “leader“, eppure leggendo il passaggio sono arrivato alla conclusione che per essere un buon leader occorre prima di tutto imparare ad essere un buon follower, ma cosa significa essere un follower?

Tutti noi abbiamo riportato o tuttora riportiamo ad un capo sia esso l’imprenditore, il direttore, il responsabile ecc.; la prima cosa da fare in questi casi è quella di riuscire ad entrare in sintonia con il nostro referente, ovvero sviluppare la capacità di ascolto, capire su cosa dobbiamo concentrarci e cosa invece va messo in secondo piano (definire le priorità), essere sempre disposti ad imparare da chiunque, essere in grado di poter esprimere la propria opinione anche quando essa differisce da quella del capo. Questo significa non essere degli “yes man” al contrario significa essere assertivi, dote non semplice da sviluppare e molto rischiosa da usare perchè un cattivo leader potrebbe non capire.

Vero comunque che come ci sono cattivi leader esistono altrettanto cattivi follower, in questo senso è emblematica la classificazione della Dott.ssa Kellerman che nel suo libro ha suddiviso quest’ultimi in: isolati ovvero coloro che accettano supinamente qualsiasi cosa senza il minimo coinvolgimento (ne troviamo diversi in azienda), spettatori quelli che vorrebbero ma non osano lasciando agli altri il compito di dire la loro (ne siamo pieni, i famosi quaquaraquà), partecipanti sono un valido supporto ma nulla più, attivisti coloro che come dice la parola sono sempre pronti ad essere di supporto al leader (attenzione qui si annidano gli yes man, inutili per definizione ma che tanto piacciono ai vari leader ed i paragnosti ovvero quelli che pensano di fare le scarpe al leader stesso) ed i combattenti, merce molto rara perchè sono attaccatissimi all’azienda che si spendono in prima persona con il rischio di essere incompresi e rimetterci se il leader non è capace; già… occorre essere dei bravi leader per essere in grado di valorizzare i follower meritevoli e non affossarli, in fondo il risultato del leader dipende molto anche dal tipo di follower che si ritrova.

In fondo non si è leader solo perchè siamo stati incaricati da qualcuno di esserlo, leader fa rima con autorevolezza non con autorità (concetto che ho espresso più volte), eppure sono ancora innumerevoli i leader che basano la loro gestione sul concetto di autorità e potere risultando ciechi al fatto che dietro di loro non c’è più nessuno e magari si lamentano del fatto che sono contornati di incompetenti, è necessario invece comprendere che un buon leader persuade le altre persone delle bontà delle sue idee in modo che questi ultimi siano disposti a dare il 101% anziché pretendere che lo facciano di default, ecco quindi perchè se si è stati dei buoni follower è molto probabile che saremo anche degli ottimi leader.

Alla prossima!!