Intelligenza Emotiva

Quanto conta il QI e quanto contano le emozioni per avere successo nella vita?

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Le emozioni contano eccome!!
Le emozioni contano eccome!!

Ognuno di noi sa bene cosa significa avere a che fare con le emozioni, spesso guidano l’istinto e ci fanno agire prima ancora che l’intelligenza razionale entri in funzione: a volte questo è un bene, pensate alla classica reazione che chiamiamo d’istinto che ci salva la vita, a volte è un male l’esplosione di rabbia che ci acceca, basta leggere i giornali per vedere le cronache piene di omicidi inspiegabili sino al giorno prima.

Tutto parte dal fatto che le emozioni fanno entrare in gioco la parte primordiale del nostro cervello, quello chiamato sistema limbico (in particolare nella amigdala), che scavalca a piè pari la mente razionale che risiede nella neocorteccia e che si è sviluppata solo con la comparsa dell’Homo Sapiens. Ecco perchè spesso agiamo d’istinto e magari ci pentiamo di quello che abbiamo fatto solo pochi istanti dopo averlo fatto; l’amigdala è una sorta di registratore delle emozioni per cui ogni volta che le riconosce fa scattare prontamente la risposta senza dare modo al cervello razionale di analizzare e prendere una decisione ponderata.

Evidente quindi che nella vita non possiamo prescindere dalla emozioni, eppure la psicologia per moltissimo tempo non ha mai voluto prendere in considerazione l’aspetto emozionale della nostra intelligenza, affermando che “l’intelligenza comportasse una elaborazione fredda e metodica dei fatti” (vedi Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman a cui si ispira l’intero post), il che significa assimilare gli esseri umani a delle macchine, ma se c’è una cosa che ci differenzia da quest’ultime è proprio la capacità di provare emozioni. Solo nel 1990 l’intelligenza emotiva è stata presa in considerazione dagli psicologi, grazie a Salovey e Mayer due psicologici che scrissero il primo modello di intelligenza emotiva; con i tempi che corrono se ci pensate è come dire ieri.

Il modello prevedeva 5 punti chiave:

1) Conoscenza delle proprie emozioni: ovvero la capacità di riconoscere un sentimento nel momento in cui si presenta.

2) Controllo delle emozioni: la capacità di controllore le proprie emozioni.

3) Motivazione di se stessi: dominare le emozioni per raggiungere gli obiettivi prefissi.

4) Riconoscimento delle emozioni altrui: ovvero essere empatici, il sapersi mettere nei panni dell’altro.

5) Gestione delle relazioni: la capacità di gestire le emozioni altrui.

La cosa buffa è che ancora oggi sento parlare nelle selezioni del personale o nella valutazione delle potenzialità delle persone solo di QI (quoziente intellettivo) mentre si tralascia completamente l’intelligenza emotiva; ad oggi non esiste un test per misurare il punteggio della intelligenza emotiva ma da questa non si può prescindere per valutare a 360° una persona.

Sarà capitato a tutti voi a scuola, di avere in classe un ragazzo o una ragazza che era il top, sempre prima/o in tutte le materie (tranne magari educazione fisica e questo già doveva dirla lunga) e allo stesso tempo ragazzi o ragazze che si barcamenavano in tutto il percorso di studi; magari poi li avete persi di vista per un pò ed oggi che li avete incontrati da adulti scoprite che il/la primo/a della classe conduce una vita normale o magari è ancora inspiegabilmente precario/a al lavoro, magari è ancora single, mentre quello che si barcamenava oggi è invece una donna/uomo di successo.

Questo evidenzia che non basta solo il QI per riuscire nella vita, bisogna avere il giusto equilibrio tra intelligenza cognitiva ed intelligenza emotiva ed a parità di QI sono le abilità emozionali a fare la differenza; più ne siamo dotati più riusciremo a vivere una vita di benessere psicofisico e di successo.

Alla prossima!!

La forza di chiedere “scusa”

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Sul Corriere della Sera di sabato 19 luglio sono stato subito attratto dall’articolo di Costanza Rizzacasa d’Orsogna dal titolo “Sorry non vuole più dire mi dispiace” in cui prendendo spunto dal video della pubblicità Pantene (che trovate ad inizio del post), ci spiega come nella maggioranza delle culture occidentali la parola “scusa” sembra essere ormai passata di moda.

Certo, dire scusa in modo del tutto gratuito o per semplice convenzione non ha certo alcun valore ed è tanto inutile quanto non dirlo affatto; cosa diversa riuscire a chiedere scusa per ammettere i propri errori. Il video di Pantene dal titolo “Not Sorry” mette in evidenza proprio il primo lato dello chiedere scusa, quello convenzionale che in realtà significa proprio il contrario ovvero per la serie “scusa eh!! Ma esisto anche io”, inutile quindi dirlo meglio non dirlo proprio e reagire come giustamente fanno le donne nello spot, ovvero manifestando assertività quindi ribattendo alla “scortesia” con determinazione, senza però essere mai sopra le righe.

Avere la forza di chiedere “scusa” per i propri errori, tanto per intenderci quello che nell’articolo la Rizzacasa d’Orsogna lega alle parole della famosissima canzone di Elton Jhon “Sorry seams to be the hardest word”, sembra veramente essere diventata una chimera. La società occidentale oggi è sempre più basata sull’individualismo, sul carrierismo spinto, sul tenere sempre i toni alti per qualsiasi cosa: risse che sfociano in omicidi e che prendono il via da banalità, una precedenza non data, uno scontro fortuito mentre si cammina, ragazze che si picchiano tra loro per dimostrare chi è la più forte, ragazzi che rischiano la vita o si rovinano la fedina penale per fare bravate e dimostrare di poter essere accettati dal gruppo… insomma oggi la violenza, l’alzare la voce, la maleducazione ed il dover sempre dimostrare in modo sbagliato di avere “le palle”, passatemi il francesismo, è diventata la base della nostra società.

Abbiamo completamente perso il senso di solidarietà nei confronti di una sempre più accentuata competitività, ci stiamo isolando sempre di più e parallelamente aumentano i disagi mentali che questo stato comporta. In questo contesto ripartire dal saper chiedere scusa per gli errori commessi, non è mai un segno di debolezza anzi è una virtù che aumenta la nostra forza come persone, non è un caso che nella cultura giapponese chiedere scusa è considerato, appunto, una virtù e dimostra che una persona ù in grado di assumersi le sue responsabilità senza ribaltarle su altri.

In questo contesto non posso non citare lo psicologo Daniel Goleman che sul famosissimo testo Intelligenza Emotiva dice testualmente: “…se cercheremo di aumentare l’autoconsapevolezza, di controllare più efficacemente i nostri sentimenti negativi, di conservare il nostro ottimismo, di essere perseveranti nonostante le frustrazioni, di aumentare le nostra capacità di essere empatici e di curarci degli altri, di cooperare e di stabilire legami sociali, potremo sperare in un futuro più sereno.” Tornare ad avere la forza di chiedere scusa è sicuramente parte di questa ricerca di un nuovo futuro, più sereno e con maggiori possibilità di tornare a mettere al centro di tutto la persona e le sue emozioni positive.

In fondo, come dice Antoine de Saint-ExupéryNon si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Alla prossima!! 

INTELLIGENZA EMOTIVA: quando le emozioni ci guidano

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Dopo il post “Emozionare per farsi scegliere”, torno a parlare di emozioni, di quanto sia importante riconoscerle, controllarle ed usarle (in senso positivo) a proprio favore, per il proprio benessere e nei rapporti con gli altri; proprio per far si che le persone che incontriamo si emozionino e ci scelgano: nel lavoro così come nella vita di tutti i giorni.

Sto parlando di “Intelligenza Emotiva” quel meraviglioso concetto sviluppato da Daniel Goleman, che la definisce appunto come “la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”.

Una cosa completamente diversa dall’intelligenza cognitiva che solitamente si misura con il Q.I. e che spesso ci regala grandi menti, incapaci di relazionarsi con gli altri e con grandi problemi di comunicazione; al contrario della intelligenza cognitiva, l’intelligenza emotiva può essere allenata e sviluppata ogni giorno della nostra vita, anzi migliora con gli anni. Un esempio? Quante volte ci è successo da giovani o nelle prime esperienze lavorative, di non controllare le emozioni, di esplodere in malo modo e di perdere delle occasioni, di rompere delle relazioni salvo poi pentircene? Le stesse situazioni che si ripresentano, le affrontiamo con un approccio diverso: più tolleranti, con maggiore autocontrollo, ci adattiamo ai cambiamenti anziché respingerli e vediamo con più ottimismo situazioni che prima ci sembravano impossibili da gestire. Questo passaggio è frutto di uno sviluppo più o meno conscio della nostra intelligenza emotiva; ancora una volta aver vissuto un sentimento, una emozione ci ha permesso di riconoscerla quando si ripresenta e di gestirla in modo positivo e propositivo anziché viverla negativamente.

Goleman pone alla base della intelligenza emotiva due grosse competenze: la competenza personale e la competenza sociale. La prima determina il modo in cui controlliamo noi stessi attraverso la consapevolezza di se, la padronanza di se e la motivazione; mentre la seconda determina il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri attraverso l’empatia, ovvero la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui e le abilità sociali che comportano abilità nell’indurre risposte desiderabili negli altri.

Tutto questo ci dice che per avere successo sia nella vita privata che in quella professionale, non basta avere un elevato Q.I., essere preparati ai massimi livelli, occorre anche sviluppare la nostra intelligenza emotiva che ci permette, per l’appunto, di essere scelti.

Alla prossima