Mese: marzo 2014

L’importanza di sentirsi dire “bravo”

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Ma dobbiamo proprio darcela da soli la pacca sulle spalle?
Ma dobbiamo proprio darcela da soli la pacca sulle spalle?

Operando come mental coach in ambito sportivo, mi trovo spesso in situazioni in cui agli atleti viene richiesto impegno, sacrificio, risultati con conseguente aumento della pressione di tifosi, allenatori, società sportive, stampa che in automatico si tramuta in un aumento oltre il livello di guardia dello stress.

La stessa cosa accade in azienda, siamo costantemente bombardati da richieste di ogni tipo da parte dei clienti, dei capi, dei collaboratori con il risultato di ritrovarsi sempre presi da tantissime cose che implicano innumerevoli sacrifici in termini di gestione del tempo.

In un caso come nell’altro cerchiamo di dare il massimo anche se non sempre riusciamo a raggiungere i risultati voluti o sperati e quando questo accade veniamo colpiti dagli improperi di allenatori, presidenti, tifosi, capi, clienti e via dicendo che sono sempre pronti ad infliggerci l’avvilente dose di demotivazione pensando, in cuor loro, di ottenere esattamente il contrario, ovvero di spronarci a far meglio.

Facciamo un passo indietro, chi segue questo blog sa bene come ritenga che la motivazione sia un fatto prettamente personale, fortemente legato al nostro modo di essere più o meno resilienti (per chi vuole approfondire l’argomento clicci qui) ovvero alla nostra capacità di persistere nel reggiungimento degli obiettivi, fronteggiando le difficoltà e gli insuccessi che inevitabilmente si parano davanti al cammino.

Chi parla di motivatori o si vende come motivatore personalmente dice delle gran bufale, quello che è possibile fare è sostenere o meno la motivazione altrui ma non certo instillarla per via endovena; possiamo aiutare le persone a far si che vedano sempre il bicchiere mezzo pieno anzichè quello mezzo vuoto.

Sulla base di quello che riportavo sopra purtroppo spesso, troppo spesso, i nostri capi, gli allenatori, i presidenti ecc. con i loro chiamiamoli rimproveri, sono più propensi a farci vedere il bicchiere mezzo vuoto, quindi abbattare la motivazione, anzichè quello mezzo pieno, ovvero a sostenerla.

Ma se, in fin dei conti, può anche starci in alcuni casi un rimprovero anche se fatto male (c’è rimprovero e rimprovero chiaramente), quello che non è assolutamente accettabile è che quando invece le cose riescono bene, anzichè darci una pacca sulla spalla i nostri capi/allenatori tendono a non dire nulla e dare per scontato il fatto che il tal risultato o il tal progetto sia stato raggiunto o completato con i risultati e tempi previsti.

In questo modo viviamo costantemente sotto l’inesorabile spada di Damocle, che rimane appesa sino a quando raggiungiamo i risultati ma è sempre pronta a cadere nel momento in cui le cose non riescono. Questo è il motivo che porta spesso le persone ad entrare in crisi anche se sono all’apice del successo, a perdere comunque fiducia in se stessi, nelle proprie capacità, sino ad arrivare persino alla depressione.

In questo modo viviamo costantemente nella negatività o al massimo nella normalità (quando portiamo a termine i compiti con successo), al contrario se da un lato le sconfitte e le brutte prestazioni devono comunque servirci da stimolo per migliorare e per tornare a fare meglio di prima (vedere il bicchiere mezzo pieno), dall’altro quando otteniamo risultati positivi è assolutamente necessario assaporarli fino in fondo, gioire per quello che si è fatto, premiare anche solo con un “bravo” i componenti del team o i collaboratori.

L’aspetto mentale nello sport come nel lavoro e nella vita in genere è di fondamentale importanza, per essere un buon capo, un valido allenatore, un presidente da ricordare dobbiamo imparare a valorizzare i successi del nostro team, per alimentare quel ciclo virtuoso che parte dall’impegno che mettiamo nel raggiungere gli obiettivi, passa per il senso di competenza una volta che li abbiamo raggunti e che ci è stato riconosciuto e finisce per farci provare piacere nel mettere nuovamente impegno per altri e più ambiziosi risultati.

Alla prossima!!

La biblioteca di RU e dintorni: Per me … numero 1

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La copertina del libro
La copertina del libro

Riprendo dopo qualche tempo la rubrica “La biblioteca di RU e dintorni“, in cui segnalo testi utili in ambito risorse umane, oggi vi parlo di “Per me … numero 1” edito da Egea.

La scorsa settimana con AIDP Marche abbiamo ospitato ad Ancona per la presentazione del libro gli autori: il Prof. Dino Ruta ordinario di Organizzazione Aziendale e Management Sportivo alla Bocconi di Milano e Coach Dan Peterson uno dei migliori allenatori di basket in Italia che nella sua esperienza in panchina ha vinto tutto quello che c’era da vincere, con la Virtus Bologna prima e l’Olimpia Milano poi.

Insieme hanno scritto il libro di cui sopra, che come sottotitolo riporta “Aneddoti (sportivi e non) per allenarsi da Leader“; un vero e proprio trattato sulla leadership e team leadership che prende spunto dalla biografia di Coach Peterson per raccontarci come sia possibile allenarsi da leader ed essere in grado di gestire al meglio i propri collaboratori, in campo come in ufficio.

Tanti gli spunti che emergono dal testo, dove alla fine di ogni capitolo della vita di Coah Peterson, il Prof. Ruta rivisita gli episodi raccontati in chiave manageriale, consegnando al lettore degli strumenti pratici da mettere subito in atto.

Personalmente ho letteralmente vivisezionato il testo, difficile condensare il contenuto in poche righe ma credo valga la pena lanciarvi alcuni degli spunti che mi sono maggiormente rimasti impressi raccogliendoli per punti.

1) ATTITUDINI E PASSIONI PROFESSIONALI

Quanti di noi oggi si sentono di poter dire di svolgere effettivamente il lavoro che hanno sempre sognato di fare? Credo pochi eppure ognuno di noi ha insite delle attitudini a poter svolgere meglio determinati compiti anzichè altri, attitudini che ci piace chiamare in un’altro modo PASSIONI, alzarsi la mattina e sapere di affrontare una nuova giornata lavorativa che collima con il soddisfare le nostre passioni è il miglior viatico per avere una automotivazione intrinseca e svolgere al meglio i nostri compiti. Nello sport come nel lavoro spesso abbiamo “fuoriclasse” che però “giocano” nel ruolo sbagliato con il risultato che non avremo mai il massimo da quelle persone e gli stessi risulteranno poco motivati nello svolgere compiti che non sentono propri, con grossi danni per lor e per l’azienda; analizziamo quindi bene le attitudini delle persone che selezioniamo, una delle chiavi per avere successo come team è quella di “avere persone giuste al posto giusto“.

2) TALENTI

Chi mi segue sa bene come la penso quando sento la parola talenti, per chi per la prima volta si imbatte in questo blog giova ripetere che per il sottoscritto il talento non esiste, nessuno nasce “imparato” o con particolari doti innate, siamo noi che seguendo le nostre attitudini, lo costruiamo giorno per giorno automotivandoci nel raggiungere i livelli più alti. Il testo ci ricorda che non basta avere le tecnicalità per riuscire in automatico, c’è anche la dimensione umana che troppo spesso chi gestisce team sia a livello sportivo che lavorativo tralascia, saper leggere dentro le persone è fondamentale per farle rendere al massimo.

3) FOLLOWERSHIP

Per diventare un buon leader è necessario essere prima un buon follower, che significa essere un buon follower? Andate a leggere qui

4) STRATEGIC THINKING

Un buon leader deve sempre vedere avanti, avere un pensiero strategico che spesso lo porta anche fuori dai binari (think out of the box), tracciando nuovi sentieri, anticipando quello che sarà per arrivare prima degli altri. Avere un pensiero strategico significa: anticipare, sfidare, interpretare, decidere, allineare e imparare.

5) CULTURAL AGILITY

In un mondo come quello attuale siamo tutti chiamati a guardare oltre i limiti di casa nostra, significa pensare ad una forte integrazione culturale con persone che provengono da altre parti del mondo, significa mettersi in discussione e non pensare che il nostro modo è il modo di fare le cose. Oggi il mercato del lavoro è worldwide, le aziende sono internazionali, se non siamo capaci di adattarci all’ambiente dove operiamo avremo grossi problemi e non otterremo mai risultati.

6) RELAZIONI E CONFLITTI

I risultati di una società sportiva così come di un’impresa dipendono anche dalla qualità delle relazioni che essa possiede con attori esterni e dalla credibilità che il management è in grado di esprimere nell’ambiente in cui opera; mappare gli stakeholder per l’impresa è fondamentale per sapere come gestire al meglio le relazioni. Parallelamente anche saper gestire i conflitti è altrettanto importante, anche in questo caso può sembrare banale eppure in moltissimi casi non gestiamo proprio nulla, si preferisce non parlare, fare finta di niente augurandosi che prima o poi la cosa passi; è proprio la mancanza di comunicazione a far si che i conflitti portano spesso alla paralisi sia delle relazioni che delle organizzazioni stesse. Mi piace far notare che siamo riusciti a creare una sitcom con la non gestione dei conflitti, Camera Cafè è l’emblema di quello che accade dentro alle aziende, quando piuttosto che aprire un dialogo costruttivo con i collaboratori si preferisce girare la faccia dall’altra parte.

7) DISTRIBUTED LEADERSHIP

E’ indiscutibile che ogni professionista sia esso uno sportivo che un collaboratore in azienda reca in se obiettivi personali, è normale e giusto che sia così (sarebbe grave il contrario), per raggiungere il risultato collettivo è importante far si che le prestazioni individuali si armonizzino con quelle degli altri singoli componenti del team in modo da canalizzarle per raggiungere la prestazione collettiva sviluppando l’interdipendenza.

8) FIDUCIA E IDENTITA’

Parlavo di obiettivi singoli da conciliare con gli obiettivi collettivi, come? Sicuramente utilizzando capacità sociali ed empatia, si trasmette fiducia non solo con le parole ma soprattutto con i fatti, con le emozioni, il team leader deve essere il primo a “crederci” qualunque sia l’obiettivo finale. L’identità si costruisce con il coinvolgimento, dobbiamo sviluppare relazioni di fiducia, interessandoci dei nostri collaboratori non solo in termini lavorativi ma a 360 gradi in questo Olivetti, ad esempio, era un maestro.

9) SCONFITTE ED EMOZIONI

C’è una frase che usa Dan Peterson che trovi illuminante “se non perdi, non puoi vincere“, la differenza la fa come si vivono le sconfitte; dobbiamo essere bravi a trasformare il negativo in positivo. L’assunzione di responsabilità e la fiducia nei propri mezzi mitigano la dimensione emotiva della sconfitta facendo prevalere la razionalità.

10) MENTALITA’ VINCENTE E MOTIVAZIONI

Una diretta conseguenza del punto 9 è che chi ha una mentalità vincente riesce a sostenere la motivazione anche quando arrivano le sconfitte, la prestazione dipende dalle competenze che abbiamo acquisito nel tempo e dalla motivazione che ci mettiamo nel raggiungere il risultato finale.

Non mi resta cha augurarvi buona lettura.

Alla prossima!!

NASPI: incentivo o disincentivo?

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Il Jobs Act ci farà passare il mal di disoccupazione?
Il Jobs Act ci farà passare il mal di disoccupazione?

Nelle ultime settimane tra le miriadi di annunci del neonato Governo Renzi, spicca all’interno del “Jobs Act” la nascita di un nuovo sussidio di disoccupazione che prenderebbe il nome di NASPI (Nuova ASPI).

Di cosa si tratta?? In poche parole sarebbe un sussidio di disoccupazione “universale” nel senso che andrebbe a coprire le esigenze di tutti ma proprio tutti coloro che si trovano a perdere il posto di lavoro, ivi compresi anche i precari come i collaboratori a progetto che oggi sono esclusi da quasi tutti i sostegni. L’ammontare dell’assegno si attesterebbe tra i 1.100 ed i 1.200 € mensili iniziali per scendere gradualmente verso i 700€ al termine del periodo di copertura, periodo che si dice sia di massimo di 2 anni per i lavoratori dipendenti (anzichè 1 o 1 e mezzo dell’ASPI attuale) ed al massimo 6 mesi per gli atipici come appunto i co.co.pro.

La platea di lavoratori oggi coinvolti rispetto alle norme precedenti aumenterebbe di ben 1.200.000 unità, tutti lavoratori oggi esclusi; la NASPI costerà allo Stato ben 1,6 miliardi in più rispetto ad oggi.

Fino a qui tutto bene (come dice nella omonima canzone il rapper Marracash), se però scendiamo in profondità ed andiamo ad analizzare i contenuti sorge il dubbio se questa operazione sia in realtà una operazione di facciata più che una reale volontà di aumento delle tutele, vediamo il perchè: in primis la copertura finanziaria, il governo fa sapere che il “giochetto” dovrebbe trovare copertura “attraverso uno spostamento di risorse dalla attuale cassa integrazione in deroga“, ora facendo un semplice conto matematico ed applicando la proprietà transitiva, minori risorse nella cigs in deroga a casa mia significano un perido inferiore di questo ammortizzatore sociale che era nato proprio per andare incontro alle esigenze di coloro che oggi ne sono sprovvisti. Ecco quindi che la cosa puzza di ennesima presa in giro nei confronti dei lavoratori, per cui allunghiamo qui ma tagliamo di la, con il risultato che nulla cambia nella sostanza.

Il secondo aspetto che mi lascia perplesso è l’ammontare dell’assegno 1.200 €, chiaramente parlare con le notizie attualmente in possesso è difficile, occorre vedere come poi sarà (se mai sarà) nel dettaglio, rimane il fatto che oggi i giornali parlano di questa cifra che secondo la mia opinione è troppo alta e disincentiva il darsi da fare per tentare di ricollcarsi anche se è a calare fino a 700 € finali. Se pensate che lo stipendio medio in Italia si aggira sui 1300 € mensili, darne 1.200 € a chi oggi non fa nulla… beh lascio a voi le conclusioni.

Le altre domande che sorgono spontanee sono: ma saranno 1200 € per tutti indistintamente oppure l’ammontare dell’assegno verrà modulato in base all’ultimo stipendio preso dal lavoratore che ha perso il posto di lavoro? Ricordo che l’attuale ASPI prevede che l’assegno ammonti al 75% della retribuzione nel caso in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore a 1.180 €, se la retribuzione supera tali limiti l’indennità attuale è pari al 75% dell’importo di cui sopra più il 25% della retribuzione eccedente, con un calo del 15% dopo i primi sei mesi e di un ulteriore 15% dopo un anno. La stampa riporta che anche nella NASPI si parla del 75% dell’importo della retribuzione dell’ultimo periodo ma non si capisce se sarà così per tutti o se ci saranno differenziazioni come per l’ASPI.

L’ottenimento dell’assegno sarebbe subordinato all’obbligo di seguire un “fantomatico” corso di formazione e di non rifiutare più di una proposta di lavoro; anche in questo caso sarebbe bene scendere in profondità per capire intanto di che corso formativo stiamo parlando ed a ruota capire cosa si intende per rifiuto di una proposta di lavoro: qualsiasi? Oppure entro certi parametri non meglio identificati?

Insomma personalmente credo che anzichè continuare a parlare di politiche “passive” del lavoro, sia il caso di iniziare a parlare di politiche “attive”, 1200 € al mese senza fare nulla mi sembra una soluzione che porta da tutte le parti fuorchè nella direzione in cui si dovrebbe andare ovvero verso il rendersi attivi nei confronti del mercato del lavoro. Al contrario io proporrei una durata maggiore di indennità se dimostro di “darmi da fare” per costruirmi una nuova impiegabilità come? Ti iscrivi ad un corso di formazione (serio) al termine del quale avrai imparato un nuovo mestiere, oppure ti sarai specializzato in un ruolo particolare ottenendo un attestato riconosciuto, oppure ti consentirà di avviare una tua iniziativa imprenditoriale? Bene allora l’indennità rimarrà al massimo per tutta la durata della formazione e calerà nei termini di legge solo dopo che hai terminato il periodo formativo. Decidi di farti seguire in un percorso che ti aiuterà a trovare nuove strade professionali o a incrementare la tua professionalità rendendoti più appetibile per il mercato del lavoro, bene indennità al massimo per tutto il periodo formativo come sopra, sei uno che si vuole rimettere in gioco ed accetta qualsiasi opportunità gli capita a portata di mano? Bene se il lavoro che hai accettato è di livello palesemente inferiore alla tua professionalità, il tuo stipendio verrà integrato con fondi pubblici. Al contrario chi resta in attesa della manna, si culla sul sussidio senza fare nulla per crearsi una nuova via all’occupazione, non accetta di rimettersi in gioco pur di lavorare o lo fa in nero, vedrà l’ammontare dell’assegno calare drasticamente mese dopo mese con un termine della copertura entro l’anno.

In questo modo avremo persone attive sul mercato del lavoro e sono certo che i costi diminuiranno drasticamente per lo Stato, senza contare che si attuerebbe quella riqualificazione professionale di cui oggi si sente tanto bisogno, in particolare per tutti coloro che conoscono un mestiere che oggi, purtroppo, non c’è più.

Alla prossima!!

Valorizzazione del Capitale Umano in azienda

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Il Capitale Umano è un valore per l'impresa
Il Capitale Umano è un valore per l’impresa

L’annosa questione della valorizzazione del capitale intangibile di un’azienda è fatto assai conosciuto, diversi sono gli asset a cui risulta difficile dare un valore: l’avviamento dell’azienda, i marchi, il capitale sociale ed anche il capitale umano.

Si sono susseguite e si stanno tuttora susseguendo teorie più o meno valide per arrivare ad una misurazione di questi aspetti dell’azienda; in questa sede però, mi interessa concentrare l’attenzione sul Capitale Umano. Una cosa è certa: se da un lato è sicuramente difficile poter dare un valore economico (se non in termini di costo) alle persone che lavorano in azienda, dall’altro non è più possibile pensare che questo valore non ci sia.

Fino a quando l’economia gira, chi più chi meno tutte le aziende sono propense nel dare importanza ai loro collaboratori nell’ottenimento dei risultati d’impresa; le cose sembrano invece cambiare quando arrivano venti di crisi, un pò come quelli che stiamo attraversando.

In questi momenti da quello che si legge nelle recenti vicissitudini di multinazionali, grandi, piccole e medie imprese questo valore intangibile sembra improvvisamente venire meno. La colpa non va certo accollata tutta sulle spalle delle aziende, è innegabile che in buona parte anche le banche che dovrebbero per prime apprezzare il know how interno alle aziende considerandolo un valore da inserire in bilancio, oggi se ne infischiano ed indipendente dalle professionalità contenute in azienda, chiudono comunque i rubinetti, basando la loro valutazione solo ed esclusivamente sui dati di breve periodo e sull’indebitamento.

Le imprese nascono grazie all’audacia ed alla lungimiranza degli imprenditori, ma proseguono il loro percorso di crescita e consolidamento grazie alle persone che vengono selezionate ed inserite nei vari ruoli. Prendiamo un esempio di eccellenza italiana: la Ferrari, nata nel lontano 1939 dall’intuizione di Enzo Ferrari, si è sviluppata ed è cresciuta sino ai livelli attuali grazie alle persone che sono entrate in azienda e che hanno apportato e sviluppato know how. Ora immaginatevi se oggi la Ferrari venisse improvvisamente svuotata dei sui collaboratori ed al loro posto venissero inserite persone completamente nuove provenienti da tutt’altro settore, pensate che i risultati finali siano identici a quelli attuali? Evidentemente no, solo questo banalissimo esempio fa comprendere come il capitale umano ha assunto un ruolo centrale nel determinare l’espansione di un sistema economico.

Il capitale umano può essere inteso come l’insieme di consocenze, capacità, competenze a disposizione di un’azienda e gioca un ruolo fondamentale nell’agevolare la creazione di benessere economico che si traduce anche in benessere sociale non solo per i collaboratori ma per tutta la comunità in cui l’azienda vive.

Diretta conseguenza a quanto sopra è che la finanza non può più e non deve considerare le persone solo come mero costo del lavoro, da tagliare indiscriminatamente nel caso l’azienda vada in crisi, ma come un costo a cui però corrisponde un valore molto più grande che è l’essenza stessa dell’impresa senza la quale, pur recuperando in termini di efficienza economica, perderà completamente in termini di efficacia svuotandosi di quelle competenze necessarie alla sua sopravvivenza.

Alla prossima!!