Outplacement

Outplacement: mettiamo le cose in chiaro.

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Outplacement: facciamolo rendere al massimo
Outplacement: facciamolo rendere al massimo

Dopo qualche tempo eccomi tornare su un aspetto della mia professione, quello di consulente di ouplacement; ci torno perchè negli ultimi tempi mi sono imbattuto in diverse situazioni in cui, la concorrenza da un lato e le parti sociali dall’altro, stanno in alcuni casi rischiando di minare non solo il mercato dell’outplacement ma anche l’efficacia stessa dello strumento.

Ci sono due ordini di motivi per cui ho deciso di scrivere questo post entrambi però sono al servizio non mio e della mia professione ma di chi questo strumento è chiamato ad utilizzarlo e/o proporlo nelle trattative sindacali. In pratica cosa succede?

Il primo spunto parte dal fatto che la crisi ha colpito tutti i tipi di industria anche quella dei servizi, in questa categoria rientrano anche le aziende che si occupano di fornire servizi in ambito risorse umane. Come certamente saprete l’articolo 4 del Dlgs 276/03 al comma uno prevede quanto segue:

1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e’ istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il predetto albo e’ articolato in cinque sezioni:
a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui all’articolo 20;
b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attività specifiche di cui all’articolo 20, comma 3, lettere da a) a h);
c) agenzie di intermediazione;
d) agenzie di ricerca e selezione del personale;
e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.

In questo elenco come vedete le società che si occupano di outplacement (supporto alla ricollocazione professionale) sono riportate alla lettera e) la cosa buffa, se vogliamo chiamarla in questo modo, è che chi sta alla lettera a) può fare tutto quello che c’è sotto mentre non vale il contrario. Tutto questo per dire che sino ad oggi ognuno si è occupato del suo core business ma in periodi di magra come quelli odierni, in molti di quelli che non si trovavano alla lettera e) hanno visto come business la possibilità di iniziare a dedicarsi all’outplacement. Il problema è che non ci si inventa in questo settore perchè si rischia di fare dei disastri colossali in particolare sui contenuti del servizio, guarda caso è proprio quello che sta accadendo, mi sono imbattuto personalmente in società, di cui chiaramente non farò il nome, che stanno mascherando dietro la parola outplacement un servizio che non ha nulla a che vedere con il servizio di ricollocazione professionale (per non parlare del lato economico). Risultato? Candidati insoddisfatti, risultati scarsi per non dire nulli, sindacati che perdono la già poca fiducia nel servizio.

La professionalità, anche in questo caso, deve essere alla base di tutto; con questo non voglio dire che il mercato deve rimanere confinato tra le società che da sempre si occupano di ricollocamento, ci mancherebbe altro, voglio però sottolineare che non ci si può improvvisare, un ingresso in questo mercato va pianificato nel tempo e le persone coinvolte devono essere formate o in alternativa, provenire dal settore con comprovata esperienza; altrimenti la cosa non solo tornerà indietro come un boomerang sulla reputazione della società, ma contribuirà a distruggere la credibilità dello strumento.

Voglio chiudere con una nota dedicata alle parti sociali, l’outplacement è un ottimo strumento per trovare nuove opportunità di lavoro ed una delle poche politiche realmente attive, per far si che funzioni occorre che gli accordi sindacali siano redatti in modo tale da renderlo funzionale al massimo; non sempre questo accade, il risultato è che, anche in questo caso, alla fine i risultati rischiano di essere nettamente inferiori alle aspettative ed alle reali possibilità.

Tanti auguri di Buona Pasqua a voi ed alle vs. famiglie.

Alla prossima!!

Sai che c’è? C’è che mi regalo un’azienda!

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Giovani Imprenditori
Giovani Imprenditori

Venerdì scorso sul Corriere della Sera mi sono imbattuto in uno dei soliti articoli interessanti di Dario Di Vico dal titolo “Se un giovane su quattro decide di assumersi da solo“, mi è subito venuta l’ispirazione per scrivere questo post il cui titolo è emblematico. L’articolo tratta un argomento come quello di fare impresa che sta muovendo molti giovani ad autimpiegarsi per far fronte al precariato ed alla disoccupazione che come sappiamo, tocca i suoi massimi proprio tra i ragazzi.

Mi ha fatto particolarmente piacere leggere l’articolo perchè è la dimostrazione di quello che (chi mi segue lo sa) dico da un pò, ovvero che i giovani oggi altro che bamboccioni, sono forse gli unici che hanno capito realmente che è in atto un cambiamento sostanziale della nostra economia e del modo di intendere il lavoro, si stanno attrezzando e sono pronti a mettersi in gioco in prima persona, ben sapendo che nulla sarà più come prima e che attendere che qualcosa cambi da sola non porterà da nessuna parte. In questo senso la frase di Di Vico è emblematica “Sono ragazzi che hanno perso le aspettative di un tempo e hanno maturato una consapevolezza diversa. … riconoscono che la meritorcrazia si sposa meglio con una propria iniziativa piuttosto che con una scrivania in un ufficio pubblico.”

Sarebbe sbagliato però pensare che i giovani avviano proprie attività solo perchè non hanno possibilità di trovare sbocchi alternativi come lavoratori dipendenti (il 36,4% ha messo questa come giustificazione – Centro Studi Unioncamere), la maggior parte di essi si muove in tal senso perchè ha un fortissimo desiderio di autorealizzazione (ben il 47,1% – Centro Studi Unioncamere) e questo significa maggiore autoconsapevolezza e, parimenti, che le aziende siano esse multinazionali o pmi non fungono più da potente richiamo per le nuove professionalità.

Perchè avviene questo? Sicuramente perchè, come dicevo prima, i ragazzi hanno voglia di fare, hanno voglia di mettersi in gioco, di essere positivi anche in condizioni difficili, in questo senso l’autoimpiego è sicuramente una scarica di adrenalina che li percorre e che gli permette di guardare al mondo con fiducia. L’altro aspetto costituisce l’ennesimo campanello di allarme per le aziende: l’aver tirato troppo la corda in questi anni, in alcuni casi anche aprofittando della situazione, con stage, contro stage, apprendistati e tempi determinati ha convinto i giovani a dire “se proprio devo rischiare rischio di mio, almeno se le cose vanno bene raccoglierò interamente i frutti“, inoltre il senso di soddisfazione che si prova a fare qualcosa di nostro non ha paragoni.

Sempre dall’articolo emergono anche altre caratteristiche positive di questa scelta di vita, i nostri ragazzi hanno una forte propensione alla mobilità territoriale, altro cambiamento epocale rispetto alle generazioni precedenti, i dati riportano che ben il 50% degli intervistati è pronto a muoversi anche all’estero e che solo il 20% non ha intenzione di lasciare il terriotrio di origine.

Questo segnale lanciato dai giovani credo debba essere colto da tutti, dalle imprese “old style” per capire che è ora di darsi una sveglia e di cambiare veramente le cose, dalle generazioni come la mia per capire che a volte, scegliere di mettersi in gioco può essere una via per rinvigorire la propria autostima e ritrovare la dignità perduta; dal governo e dalla politica in genere per capire che è giunta l’ora di snellire le procedure, favorire l’imprenditorialità anche attraverso tassazioni agevolate e sostegno alle start-up.

Alla prossima!!

Responsabilità Sociale d’Impresa in un mondo che cambia

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Iceberg Occupazionale
Iceberg Occupazionale

La scorsa settimana sono stato invitato a tenere un intervento all’interno dell’Assemblea Annuale di Federmanager Marche, un intervento in cui ho voluto toccare il concetto di Responsabilità Sociale d’impresa in un mondo che cambia. Un concetto quello di responsabilità sociale che, nel caso del lavoro ho ritenuto necessario allargare anche alle istituzioni. Ecco il testo dell’intervento:

“Dal concetto di sociale voglio partire per iniziare il mio intervento, in particolare voglio toccare il concetto di Responsabilità Sociale.

La Commissione Europea in una comunicazione del 2011 definisce la Responsabilità Sociale di Impresa o Corporate Social Responsability come: «The responsibility of enterprises for their impacts on society.» ovvero la responsabilità delle aziende per il loro impatto sulla società, questo significa anche essere responsabili per il futuro dei propri collaboratori anche nel caso in cui le strade si debbano separare.

Inutile prenderci in giro, lo dico da addetto ai lavori, il mercato del lavoro è cambiato, pensare che tutto tornerà come prima è anacronistico e assolutamente utopico; il posto fisso come lo intendevano i nostri genitori non esiste più, nell’arco della vita professionale cambiamo più volte il ns. percorso professionale, a volte per ns. volontà, altre, come nel caso della crisi che stiamo attraversando, per volontà altrui.

Quando si verifica il secondo caso il concetto di responsabilità sociale diviene ancor più alla ribalta , ma è un concetto che va allargato secondo il mio pensiero, non solo le aziende, ma tutti gli attori in campo devono dimostrare di essere responsabili verso i lavoratori, e quando dico tutti intendo anche le istituzioni e le organizzazioni sindacali.

In un mercato del lavoro che è mutato, perseverare con le vecchie logiche di sostegno al lavoratore è una strategia non solo perdente per il lavoratore stesso ma anche per i conti di imprese e Stato. Dobbiamo mettere in pista nuovi strumenti a sostegno dell’occupabilità e del lavoratore.

Gli ammortizzatori sociali sono sacrosanti, ma vanno usati non abusati, ci sono storie di lavoratori che sono in Cassa Integrazione da anni, in alcuni casi anche da decenni e che si trovano oggi, come ieri, senza possibilità di rientrare nel posto di lavoro.

Affiancare agli ammortizzatori sociali che sono per l’appunto passivi a politiche attive del lavoro adatti ai tempi mutati, che siano efficaci nell’ottica di assicurare NON la stabilità del posto di lavoro ma la CONTINUITA’ tra le diverse successive collocazioni lavorative, da realizzarsi innanzitutto attraverso un corretto incontro tra domanda e offerta. Questo significa essere socialmente responsabili del futuro dei propri collaboratori e cittadini.

Parlavo di corretto incontro tra domanda e offerta, questi sono dati di Unioncamere che testimoniano come in Italia se un lavoratore viene lasciato da solo, come spesso avviene oggi, per trovarsi una nuova opportunità professionale ha accesso solo al 15% del totale delle opportunità presenti nel mercato, mentre l’85% delle possibilità rimangono nascoste, in Italia molto si rivolge ancora al passaparola; dato questo che vale per tutte le categorie: Dirigenti, Quadri, Impiegati ed Operai.

Le opportunità di lavoro, anche in un momento come quello attuale, sono cinque volte più numerose di quelle che vengono colte, chi cerca un posto di lavoro e chi ne offre uno hanno solo UNA POSSIBILITA’ SU CINQUE di incontrarsi; per rendere meglio l’idea ho affiancato l’immagine di un iceberg, un vero e proprio iceberg occupazionale.

Questi dati fanno chiaramente capire come il servizio di outplacement (presente da moltissimi anni nei mercati anglosassoni) sia insieme politica attiva del lavoro e strumento di responsabilità sociale per tutti gli attori sul mercato del lavoro: imprese, istituzioni ed OOSS.

L’outplacement non è altro che l’attività specializzata di coloro che monitorano il mercato alla ricerca delle opportunità nascoste per incrociarle con la domanda occupazionale, siamo coloro che si mettono muta e bombole, dotano degli stessi strumenti il lavoratore e lo accompagnano alla scoperta della parte sommersa dell’iceberg occupazionale.

Un servizio che va svolto in maniera professionale e che può contare su un ampio network di contatti diretti con centinaia di aziende, sviluppato nel tempo e continuamente coltivato.

Seguire un percorso di ricollocamento ha come scopo primario quello di ridurre il tempo di ricollocazione oltre ad aumentare la possibilità di trovare una posizione gratificante. L’attività di outplacement è volta alla riqualificazione della risorsa ed al supporto alla stessa in un’ottica di piena realizzazione degli obiettivi di crescita professionale.

Come società che si occupa di ricollocamento non possiamo non rifarci a degli asset e valori ben specifici:

– Crediamo fermamente nelle persone e nelle loro capacità e potenzialità
– Rispettiamo i valori della persona ed i relativi bisogni cercando di coniugarli il più possibile con le esigenze del mercato
– Siamo particolarmente attenti alla qualità con la quale eroghiamo i servizi, personalizzandoli al massimo in ottica di raggiungimento degli obiettivi prefissi.

In parole povere il focus è sulla PERSONA, contrariamente a quello che accade con chi si occupa di ricerca e selezione che ha il focus sull’azienda (la società viene incaricata da un’azienda per trovare la persona adatta alle sue esigenze, nel nostro caso si invertono i fattori dobbiamo trovare l’azienda adatta alle esigenze della persona).

In definitiva occorre che alle misure a sostegno della crescita del sistema Paese, di cui oggi tanto si discute, vengano affiancate altrettante politiche a sostegno dell’occupazione e del lavoratore che, in caso di perdita del posto di lavoro ed in ottica di responsabilità sociale, non va abbandonato a se stesso ed al fai da te, ma accompagnato ed orientato ad intraprendere nuovi percorsi professionali e incoraggiato a cogliere nuove opportunità magari più interessanti e stimolanti, cosa questa che è prerogativa principale dell’outplacement.

Cambiare lavoro significa rinnovarsi, aiuta ad innovare, ad acquisire nuove competenze, funge da stimolo a non adagiarsi su quanto raggiunto per scalare posizioni più alte.

Alla prossima!!

Outplacement: la testimonianza di Emilio Zampetti Chief of Human Resources di ELICA.

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Emilio Zampetti Chief of Human Resources di ELICA
Emilio Zampetti Chief of Human Resources di ELICA

Spesso in questo blog ho toccato l’argomento outplacement, vuoi perchè mi occupo anche di outplacement, vuoi perchè credo fermamente che in Italia dobbiamo uscire dalla logica stretta dell’ammortizzatore sociale passivo, che risolve poco o nulla e focalizzarci più sulle politiche attive del lavoro, di cui l’outplacement è parte preponderante.

Sapete come la penso, la cassa integrazione è sacrosanta e senza dubbio utile, ma va utilizzata così come è stata concepita, senza gli abusi di cui siamo pieni in Italia; una persona va assistita se si trova in un momento difficile non solo con un sostegno al reddito ma soprattutto con un supporto alla ricollocazione in un nuovo posto di lavoro, questo perchè credo che il lavoro sia più importante e nobilitante che non la mera assistenza che prima o poi avrà fine.

In questo contesto ho fatto alcune domande ad un HR Manager che conosco da tanto tempo, Emilio Zampetti Chief of Human Resources di un’azienda da sempre attenta alle risorse umane, anche quando arriva il momento di dividere le strade, ovvero ELICA Spa. Emilio ha cortesemente accettato, mi sono fatto raccontare come vede lui l’outplacement e cosa ne pensa, se lo usa e che livello di soddisfazione ha dello strumento, ecco l’intervista.

D. Da quanto tempo usi l’outplacement?

R. La prima esperienza con l’outplacement risale al  2003, quando ancora era uno strumento poco conosciuto ed utilizzato: compresa la sua vera natura e potenzialità da allora l’ho sempre proposto e consigliato.

D. Perché usi l’outplacement?

R. E’ un modo di “prestare attenzione”alle persone anche questo; soprattutto nel momento più difficile quale il termine di un rapporto di lavoro.

D. Qual è il valore aggiunto dell’outplacement?

R. Il valore aggiunto è quello di  rivalorizzare il percorso professionale  di ciascuno è prepararlo ad un mercato del lavoro sicuramente diverso rispetto all’ultima volta che la persona si era messa in discussione.

D. Cosa ti aspetti da una società che si occupa di outplacement?

R. Naturalmente una grande sensibilità nel gestire il lato psicologico dei candidati, un buon network e velocità nel ricollocare.

D. Outplacement e politiche attive del lavoro, le istituzioni possono fare di più?

R. Sicuramente si perché è difficile fare di peggio della situazione attuale!! Ma questa è un’altra storia.

D. Outplacement e sindacati, c’è consapevolezza dello strumento nel tavolo delle trattative?

R. Le organizzazioni sindacali non percepiscono il valore del servizio di outplacement ne tantomeno le potenzialità; preferiscono sempre puntare su l’incentivo all’esodo piuttosto che sviluppare un progetto di ricollocazione, una visione molto limitata che non alimenta e non aiuta la voglia di rimettersi in discussione delle persone.

Ringrazio Emilio per la disponibilità e la sua solita cortesia nel rendersi disponibile all’intervista.

Alla prossima!!

Ignoranza oppio dei popoli

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Relazioni SindacaliBruno Bauer, filosofo e teologo tedesco, nel lontano ‘800 diceva che la religione è l’oppio dei popoli (si Bauer non Marx a cui erroneamente si affibbia la citazione), a distanza di molti anni mi sento di dire che il vero oppio dei popoli è l’ignoranza.

Ignoranza intesa come non conoscenza, mancanza assoluta di informazioni per poter decidere in piena autonomia e consapevolmente di se, del proprio futuro, di cosa è bene e cosa è male, di poter replicare in modo compiuto e con un senso a chi pretende di essere il depositario della conoscenza che spesso, invece, racconta ciò che gli fa comodo proprio contando sulla mancanza di argomenti dell’altra parte, con cui poter ribattere.

La storia è piena di situazioni di questo tipo, non è un caso che nell’antichità le scuole erano riservate solo ai ceti elevati, da sempre le grandi dittature, siano esse di destra come di sinistra, si sono basate sulla ignoranza dei propri cittadini, facendo leva su argomenti notoriamente definiti populisti, ovvero in grado di far presa sulla gente, nascondendo ai più la verità e la possibilità di ribattere a chi pretendeva di essere depositario della verità assoluta.

La cosa che mi lascia perplesso, per non dire esterrefatto, è che ancora oggi questa massima è più che mai attuale; “ma come?” Direte voi, “siamo nel 2013 e ancora parli di ignoranza e di non conoscenza?” Ebbene si! Lo dico con profondo rammarico e, badate bene, non ho sicuramente l’arroganza e la superbia di dire che solo io sono conosco la verità, sarei paragonabile ad uno dei dittatori di cui sopra; intendo dire è che ogni giorno ho dimostrazione che in Italia (ma la cosa vale per molte parti del mondo) sono ancora in molti ad essere privi di conoscenza e conseguentemente a non essere liberi di poter prendere le proprie decisioni possedendo in mano tutte le carte da giocarsi.

Gli ambiti sono plurimi si va dalla politica alla vita di tutti i giorni, chiaramente per quello che è l’oggetto di questo blog mi soffermo solo sul lato lavoro. Mi accorgo ogni giorno di più che ci sono trattative sindacali che trattano, purtroppo, del ridimensionamento quanto non addirittura della chiusura di molte aziende, portate avanti dalle parti sociali che pensando di fare l’interesse dei lavoratori, si trovano a fare l’esatto contrario.

Spesso sono le stesse RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) interne (ovvero lavoratori interni all’azienda che sono eletti dai propri colleghi in loro rappresentanza) che anziché seguire i consigli dei propri referenti delle varie sigle sindacali, si prendono carico di decidere del destino dei propri colleghi senza essere a conoscenza di tutte le reali opportunità che possono esserci anche in situazioni drammatiche come quella della perdita del posto di lavoro.

Tutto questo perché? Perché l’ignoranza lascia oscura tutta una parte di informazioni che potrebbe aiutarli a prendere la giusta decisione. Spesso quando si parla di licenziamenti, ci si ferma alla sola trattativa sull’ammontare delle somme monetarie come incentivo all’esodo ed al prolungamento massimo degli ammortizzatori sociali (CIGS o CIGS in deroga, mobilità) senza considerare che a questi, possono affiancarsi altri strumenti altrettanto utili per i lavoratori e per l’azienda stessa: parlo di outplacement chiaramente ma anche di reindustrializzazioni dei siti produttivi dismessi.

Spesso questi strumenti possono combinarsi per ottenere il massimo risultato che alla fine è pur sempre la salvaguardia del posto di lavoro: va da se che nel caso in cui siamo in presenza della chiusura di un sito produttivo, agli strumenti classici di cui sopra, si potrebbe tranquillamente affiancare la consulenza di società specializzate che si preoccupano di trovare nuovi investitori in grado di subentrare alla vecchia proprietà e recuperare il sito produttivo con altre produzioni, reimpiegando una buona parte dei lavoratori, per i restanti l’azienda si può avvalere di una società di outplacement che si occuperà della loro ricollocazione.

Ci sono esempi di successo in tal senso anche qui in Italia, occorre però che alla base ci sia la conoscenza di questi strumenti da parte di tutti gli attori in campo: azienda, parti sociali, lavoratori. Spesso non tutte le parti in causa conoscono queste opportunità o in alcuni casi quando queste vengono proposte nella trattativa vengono bocciati ancor prima che possano arrivare ai veri interessati, ovvero i lavoratori.

Torniamo quindi all’assunto iniziale, come sempre pochi e malinformati si prendono carico di decisioni, spesso anche solo per partito preso, che decideranno il futuro di altri che subiranno passivamente senza poter essere artefici veri del proprio destino.

Occorre aprire ad una nuova era delle relazioni industriali, un’era non più basata sullo sbattere i pugni sul tavolo e sul dire no a priori, una nuova stagione improntata al dialogo ed alla conoscenza, alla disponibilità ad apprendere e a coinvolgere tutti coloro che sono i destinatari finali della trattativa perché l’ignoranza è l’oppio dei popoli.

Alla prossima!!

Business is business… ma la professionalità non si inventa.

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Una scelta consapevole
Una scelta consapevole

Mio malgrado, devo tornare su un argomento che ho già trattato in questo blog: la scelta della società di outplacement a cui affidarsi per un percorso di ricollocamento professionale. Devo tornarci perchè nelle ultime settimane si stanno moltiplicando le persone che si trovano nella necessità di utilizzare un percorso di ricollocamento messo a disposizione dall’azienda e che si ritrovano ad essere gestiti da società che sono alle prime armi o, in alcuni casi, che non hanno mai svolto percorsi di ricollocamento. Lo dico a ragion veduta perchè negli ultimi giorni, appunto, sono sempre più le persone che mi contattano via Linkedin, via posta elettronica o di persona e mi chiedono spiegazioni su come funziona il servizio perchè quello di cui stanno usufruendo sembra essere tutto tranne che outplacement.

Chi segue questo blog da tempo sa bene che a luglio 2012 affrontai l’argomento con un post in cui spiegavo passo passo, come fare per fare una scelta consapevole della società di ricollocamento professionale più adatta alla proprie esigenze e che potesse fornire garanzia del proprio operato (vedi post Outplacement: diffidare delle imitazioni). Da allora la situazione anziché migliorare sta peggiorando a vista d’occhio, per diversi motivi che cercherò di spiegarvi cercando di essere chiaro, fornendovi un approfondimento sul percorso migliore da seguire per selezionare la società di outplacement più.

1) L’Albo informatico delle agenzie accreditate al Ministero del Lavoro: a luglio dissi che il primo step da seguire per sapere se la società che ci è stata indicata o che ci ha contattato fosse accreditata, era quello di verificarlo nell’albo elettronico del Ministero del Lavoro. Confermo quanto riferito ma aggiungo una ulteriore selezione, l’albo citato ha 5 sezioni e gli accreditamenti sono a cascata ovvero chi è accreditato per la sezione 1 – Somministrazione di lavoro di tipo generalista in automatico ha l’accreditamento anche per le altre quattro sezioni (2 – Somministrazione di lavoro di tipo specialista, 3 – Intermediazione, 4 – ricerca e selezione del personale, 5 – Supporto alla ricollocazione professionale) con il risultato che basta che una società sia accreditata come società di somministrazione che in automatico può svolgere tutte le altre attività ivi compreso il supporto alla ricollocazione professionale (outplacement).

Ora come tutti potete ben immaginare, con la crisi economica in cui ci troviamo, il servizio di ricollocazione negli ultimi tempi sta sempre più prendendo piede, sia perché la riforma Fornero lo ha in parte portato alla ribalta inserendolo tra gli strumenti da utilizzare nella procedura di licenziamento e come politica attiva del lavoro, sia perché le aziende, cercando sempre più di aiutare i propri ex dipendenti colpiti dai tagli al personale a trovare un nuovo lavoro, tendono sempre più a proporre l’uso dell’outplacement.

Al tempo stesso l’uso della somministrazione è crollato per ovvi motivi, con la conseguenza che le Agenzie per il Lavoro catalogate al punto 1, che avevano sempre fatto del lavoro interinale il loro core business, oggi vedono i loro introiti drasticamente crollati. Nell’ottica di recuperare parte delle perdite, tutte le agenzie hanno deciso di voltare il loro sguardo su business che fino a ieri, molte di esse, non avevano neanche mai calcolato, l’outplacement appunto, forti del fatto che, per il gioco delle autorizzazioni a cascata, le stesse possono anche fornire supporto alla ricollocazione. Sulla carta però, perché all’atto pratico non avendolo mai fatto potete immaginare come si propongono sul mercato: programmi bislacchi, tempistiche assurde, assoluta mancanza di professionalità il tutto a danno degli ignari utenti (i lavoratori licenziati) che non si capacitano di come possa essere così scarso il servizio.

Non possiamo fare di tutta un’erba un fascio, le agenzie per il lavoro più grandi e strutturate da sempre hanno creato o spesso hanno acquisito, società che si occupano solo di ricollocazione (catalogate al famoso punto 5 dell’albo), le altre invece per mere esigenze di business hanno iniziato a percorrere una strada nuova, regolare sia chiaro in base alla classificazione di cui sopra, solo da pochissimo tempo con i risultati che potete ben immaginare.

2) AISO Associazione Italiana Società di Outplacement: di conseguenza con quanto riportato sopra, mi sento di voler raccomandare a chi deve scegliere una società a cui affidarsi in un percorso di ricollocazione, di guardare inizialmente direttamente al punto 5 dell’albo informatico del Ministero del Lavoro, perché in esso sono contenute le sole società che fanno della ricollocazione professionale il loro mestiere da sempre. Ma questo non è sufficiente perchè potrebbero trovarsi all’interno società meramente locali e quindi con poca conoscenza globale del mercato del lavoro; il secondo step che suggerisco è quindi quello di andare a vedere le società iscritte all’AISO l’associazione che racchiude in se tutte le maggiori società di outplacement che fanno questo mestiere da sempre e che hanno un grado di specializzazione elevato con personale specializzato.

3) Sito web delle società iscritte all’AISO: ulteriore passaggio per avere una idea ancora più precisa circa le società iscritte in AISO è quella di andare sul loro sito web cercando di ampliarne la conoscenza.

4) Colloquio preliminare: ultimissimo step, una volta che avrete selezionato la società, è quella di chiedere un colloquio preliminare con uno dei consulenti della stessa, un colloquio che non costa nulla e che non è impegnativo per nessuno ma che serve a chiarire dubbi, avere un quadro migliore della società e della professionalità dei suoi collaboratori a cui dovrete affidare il vostro percorso di ricollocamento. Se non siete soddisfatti di quanto presentato potrete sempre rivolgervi ad un’altra società.

Siete voi i protagonisti del vostro futuro per tale motivo è assolutamente necessario che siate in grado di fare una scelta consapevole della società che dovrà supportarvi nel processo di ricollocamento, essendo in possesso di tutte le informazioni necessarie per farla, perchè è pur vero che business is business, ma la professionalità non si inventa.

Alla prossima!!

Il mercato del lavoro ed il paragone con Sky e Mediaset Premium

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Logo SKYVenerdì scorso mi sono imbattuto in un articolo del Corriere della Sera (che trovate qui) in cui veniva citata una ricerca che ha recentemente fatto l’azienda multinazionale di software Bullhorn. In questa ricerca tra le altre cose veniva evidenziato, a mio parere in maniera paradossale, che le aziende preferiscono assumere una persona che ha magari dei precedenti penali (leggeri chiaramente) ma in piena attività nel mercato del lavoro, piuttosto che una persona con fedina penale intonsa, che si trova fuori dal mercato del lavoro da circa due anni.

Stiamo parlando di una domanda posta a ben 1.500 manager del mondo HR, non possiamo quindi dire di trovarci davanti ad un campione irrisorio; ebbene per 4 interpellati su 10 è molto difficile collocare persone che sono fuori dal mercato del lavoro da più di due anni, non solo, per il 36% degli stessi intervistati è difficile collocare anche chi è fuori dal mercato del lavoro da un solo anno. Ecco quindi il paradosso citato ad inizio post che, purchè lavorino, risulta più facile persino far assumere persone che hanno una fedina penale con qualche macchia rispetto a chi è fuori dal mondo del lavoro.

Naturalmente questa affermazione va presa come provocazione, non può certo essere un incitamento a deliquere ci mancherebbe altro, ci fa però tornare su quanto disse qualche settimana fa il Ministro Fornero in merito al fatto di non essere troppo “choosy” ma di cogliere ogni opportunità che ci si presenti davanti, pur di rimanere ancorati al mercato del lavoro.

Da consulente di outplacement sapete che più e più volte ho fatto presente che è meglio fare un passo indietro e tornare attivo, piuttosto che rimanere fermi sulle proprie posizioni e continuare a guardare il mondo del lavoro da fuori, con il tempo che inesorabilmente scorre e che, come evidenziato dalla ricerca, non può certo essere definito come amico.

In questo post però voglio aggiungere altro, parlando a quei lavoratori che oggi si trovano per malaugurata sorte sotto ammortizzatori sociali, alle organizzazioni sindacali che tutelano i diritti dei lavoratori e le imprese, alle imprese che sono alle prese con riorganizzazioni e tagli ed a tutti quei lavoratori che, pur essendo ancora in azienda, sanno perfettamente di essere coinvolti in progetti di ristrutturazione aziendale. I dati menzionati da questa ricerca parlano chiaro: le aziende da un lato devono ristrutturarsi causa crisi, ma dall’altro quando assumono, perchè lo ribadisco… ASSUMONO (il mercato del lavoro è sempre in movimento), lo fanno volgendo lo sguardo a persone che siano attive sul mercato del lavoro o che ne siano usciti da pochissimo tempo, basti pensare che nella ricerca di Bullhorn, esagerando a mio parere, il 4% degli intervistati afferma che una collocazione è comunque difficile indipendentemente da quanto si è fuori dal mercato del lavoro.

Ai lavoratori sotto ammortizzatori sociali, alle Organizzazioni Sidacali, Confindustria, alle imprese coinvolte in riorganizzazioni ed ai loro lavoratori dico chiedete e proponete lo strumento dell’outplacement, al di la della Riforma Fornero che ha messo le primissime basi per istituzionalizzare lo strumento. I dati della ricerca danno una ulteriore conferma, affrontare il mercato del lavoro da fuori e soprattutto da soli è sempre difficile, oggi lo è ancor di più; essere accompagnati nella ricerca di nuove opportunità è una occasione da non perdere per i lavoratori ed un atto di responsabilità sociale per le imprese, sindacati e confindustria.

Visto che parlo di ricerche, vi ricordo che una Unioncamere ha attivo un sistema informativo per l’occupazione e la formazione chiamato Excelsior che oggi è diventato la base di raccolta dati sul mercato del lavoro (lo trovate qui), non solo conferma la mia affermazione sulle assunzioni delle aziende (nel IV trimestre 2012 sono previste 218mila assunzioni) ma ricorda che in Italia, chiunque si metta alla ricerca di un posto di lavoro ha accesso solo al 15% di tutte le opportunità presenti mentre il restante 85% rimane nascosto perchè viaggia su canali alternativi quali il passaparola. E’ come se, parlando in termini televisivi, chi ha il digitale terrestre in chiaro vedesse il 15% del mercato del lavoro, e solo chi ha Mediaset Premium o SKY ha accesso al totale delle opportunità presenti. Chi si occupa di outplacement è come se fosse SKY o Mediaset Premium che da la possibilità ai suoi abbonati di vedere tutto; le società specializzate in ricollocamento professionale (questa la traduzione in italiano di outplacement) hanno accesso alla quasi totalità delle opportunità perchè hanno i contatti diretti con le aziende cosa che difficilmente una persona qualsiasi ha a meno che non abbia un network di conoscenze ampio e ben curato.

Usufruire di un percorso di ricollocamento diventa quindi una opportunità, proporlo significa dimostrare rispetto e responsabilità verso quelle persone che, per cause di forza maggiore come azienda, sarò costretto a licenziare.

Alla prossima!

OUTPLACEMENT: diffidare dalle imitazioni

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Ritorno a parlare di outplacement e lo faccio sollecitato da persone che mi contattano da Linkedin o via email per chiedere spiegazioni sul servizio; ultimamente queste persone sono bombardate da offerte più o meno esplicite di fornitura di servizi di outplacement o similari, proposte da fantomatici consulenti o aziende che di ricollocazione professionale conoscono poco o nulla.

Ho deciso di scrivere questo post per fare chiarezza anche perché, il momento storico in cui viviamo è assolutamente negativo specialmente dal punto di vista occupazionale, molte persone oggi vivono una situazione di profondo disagio morale e psicologico a causa della perdita del posto di lavoro, sapere che esistono persone sul mercato disposte ad approfittarsi di questi disagi, lo trovo veramente di cattivo gusto e profondamente deleterio per chi, questo lavoro, lo fa di professione e da sempre con serietà e competenza.

Premetto che questo post non vuole essere un’auto incensamento o un volersi erigere sopra ad altri, lascio a chi ha avuto modo di incontrarmi sulla sua strada, il giudizio sulla mia professionalità, così come non nomino l’azienda per cui lavoro (non l’ho mai fatto sul blog per correttezza) chi ha interesse può andare sul mio profilo Linkedin per scoprirlo; la mia è un’alzata di scudi a difesa in primis delle persone che si trovano in questa disgraziata situazione e che meritano rispetto e subito dopo a difesa di tutte quelle società serie che operano nel mercato da sempre e che fanno di questo mestiere IL MESTIERE.

L’outplacement è una forma di politica attiva rimasta per troppo tempo ai margini del mercato del lavoro in Italia, usata per lo più dalle multinazionali nella gestione degli esuberi di una categoria ben definita i manager (quadri e dirigenti in primis); oggi grazie anche al dibattito scaturito con la riforma del mercato del lavoro, lo strumento è salito alla ribalta attirando l’attenzione, oltre che dei possibili fruitori, anche di chi ha visto nel servizio, la possibilità di incrementare il fatturato. Ecco quindi che chi fino a ieri forniva servizi di altro tipo legati alle risorse umane, oggi improvvisamente diventa specialista dell’outplacement, oppure chi, non avendo l’autorizzazione ministeriale (perché occorre averla per esercitare questo mestiere) si inventa fantomatici servizi per favorire l’auto-impiego.

Voglio cogliere l’occasione per dare alcuni consigli per chi si trova o si troverà (spero di no) nelle condizioni di dover usufruire del servizio di ricollocamento professionale:

1)     Controllare che la società fornitrice del servizio abbia l’autorizzazione ministeriale, per farlo basta andare su questo sito del Ministero del Lavoro (http://www.cliclavoro.gov.it/Pagine/alboinformatico.aspx) ed alla voce sezione scegliere “Sezione 5: Supporto alla ricollocazione professionale” cliccate “cerca” e vi appariranno tutte le società regolarmente accreditate per questo servizio.

2)     Il secondo step è quello di verificare se la società a cui ci si vuole affidare è iscritta ad AISO (Associazione Italiana Società di Outplacement) al seguente sito http://www.aiso-outplacement.it/ AISO nasce nel 1988 e raccoglie le principali società che svolgono attività di Outplacement e di Career Counseling; aderiscono ad un codice etico che regolamenta l’attività delle società nei confronti delle aziende committenti e dei candidati affidati nel senso del più rigoroso rispetto e tutela degli interessi reciproci, come riportato nello stesso sito.

3)     Il servizio può essere fornito ai candidati solo su incarico dell’azienda che concorda l’uscita del proprio dipendente, non è possibile per legge fornire il servizio ai privati. A questi ultimi è possibile fornire una consulenza di carriera che prevede alcuni passaggi iniziali del programma, la società che fornisce il servizio dovrà però fermarsi nel momento in cui si attiverà il contatto con il mercato del lavoro.

4)     Controllate in internet il sito della società ed acquisite informazioni sempre sul web, in merito alla società a cui vi vorrete rivolgere.

5)     In ultimo chiedete un colloquio preliminare e senza impegno con un referente della società di outplacement e chiedete che vi sia lasciata della documentazione sul servizio.

Pochi punti ma fondamentali per scoprire chi è un professionista e si occupa di ricollocamento da sempre e chi invece si improvvisa tale; proprio oggi durante un’incontro preliminare con un gruppo di lavoratori ho fatto questa similitudine semplice ma utile a capire: “se vi siete slogati una caviglia, non andate dal medico generico ma vi affidate alle cure di un ortopedico in grado di dirvi se si tratta di una semplice slogatura o se l’infortunio nasconde qualcosa di più grave”, lo stesso discorso deve essere applicato quando dovete scegliere a chi affidare il vostro futuro professionale.

Alla prossima!

Consulente di Outplacement: il mio lavoro per gli altri.

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Spesso parlo di cosa sia l’outplacement, di come questo strumento sia una delle poche reali politiche attive del lavoro esistenti oggi in Italia. Discuto ed argomento di come vorrei che la riforma del lavoro andasse nella direzione di un uso sempre più diffuso del ricollocamento professionale, spiego i vari passaggi di un percorso di outplacement e via dicendo, non ho mai parlato però sino ad oggi di quale si il mio stato d’animo quando affronto un percorso di ricollocamento, quando incontro persone che sono in procinto di perdere il posto di lavoro o lo hanno perso da pochi giorni, il rapporto che si instaura con chi sceglie di affidarsi e me per trovare nuove opportunità di lavoro e delle sensazioni che provo quando insieme arriviamo al traguardo.

La scorsa settimana si sono verificati diversi episodi piacevoli che hanno messo in evidenza i motivi per cui ho fatto di questo lavoro la mia professione, del perché ogni giorno mi alzo con il sorriso e la carica per affrontare un’altra giornata di lavoro. Ho deciso di rendervi partecipi di queste mie sensazioni, esulando per una volta dai post prettamente “tecnici”, raccontando un po’ di me.

E’ indubbio che, agli occhi dei più, il sottoscritto possa apparire come uno che fa business sulle disgrazie altrui, fondamentalmente vengo pagato per ricollocare persone che per essere ricollocate, devono prima perderlo il posto di lavoro.

Chiaramente non è quello il motivo che mi ha fatto scegliere di intraprendere questa professione, anzi vi assicuro che spesso quando incontro per la prima volta le persone che dovranno decidere se affidarsi a me per trovare nuove opportunità di lavoro, non sono mai momenti esaltanti.

Le persone che hanno perso il posto di lavoro si sentono come se fossero state denudate in pubblico, come se la loro dignità fosse stata calpestata, si sentono impotenti… vuote, c’è chi reagisce con rabbia verso i suoi ex datori di lavoro, chi invece si abbandona alla disperazione, chi ti dice “e adesso che faccio?”, chi invece sente di non riuscire più ad essere utile alla sua famiglia, di non sapere come fare a soddisfare le esigenze di moglie/marito e figli.

In quel momento sono il loro confessore, sono il loro sfogo, divento la loro ancora di salvezza, il salvagente a cui aggrapparsi in mezzo al mare in tempesta. Le mie parole sono per loro la sola speranza su cui fare affidamento; da tutto questo deriva un forte senso di responsabilità in me, proprio perché percepisco questo bisogno di fiducia in ognuno di loro, questa necessità di vedere un raggio si sole in mezzo al cielo grigio gonfio di pioggia.

Chi mi conosce sa che non ho mai promesso un posto di lavoro certo, mi sono sempre guardato dal dire “scegli me che ho già il posto di lavoro pronto per te”, sa che per prima cosa cerco sempre di infondere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, di lavorare sul recupero dell’autostima fortemente colpita dall’evento negativo, sa che da quel momento in me trova un alleato pronto a guidarlo nel percorso di ricollocamento, sempre disponibile che darà tutto per vederlo tornare a sorridere.

In tante persone durante questi colloqui mi domandano “perché hai scelto di fare questo lavoro?” io rispondo sempre allo stesso modo “perché amo la gente, amo i rapporti interpersonali”… ecco il reale motivo per cui ho scelto questa professione, perché ho approfondito gli studi diventando coach professionista, perché non smetto mai di leggere e di studiare sulla psicologia umana. Sono assolutamente convinto che chi opera nelle risorse umane deve per prima cosa avere dentro di se l’amore per le persone, se non c’è questa passione dentro non potrai mai fare il tuo lavoro al meglio.

Parlavo di senso di responsabilità, quando una persona sceglie me, si affida a me, vuol dire che ho trasmesso qualcosa, in particolare ho trasmesso fiducia. La persona ha deciso di investire su di me, quale responsabilità maggiore? Come posso non dare tutto me stesso per far si che quella scelta si riveli la scelta giusta?

Il percorso di ricollocamento è lungo, con sali e scendi di emozioni, quante volte dopo qualche mese dall’avvio del programma mi sento dire “ma riuscirò a trovare un nuovo lavoro? La situazione economica è sempre peggiore, arriverà qualche opportunità?” io sono sempre li, presente e pronto a rincuorare ed a scuotere in caso di eccessiva negatività ma anche a richiamare alle proprie responsabilità se vedo un rilassamento nelle attività da svolgere ed alla fine?

Alla fine i risultati arrivano… non c’è cosa più bella che sentire la telefonata di una persona che stai assistendo che ti dice “Riccardo!!! Mi hanno preso!!! Hanno scelto me inizio la prossima settimana!!!”. Vivo con loro la felicità per essere arrivati al risultato tanto sperato, sorrido con loro perché sento di aver ripagato la fiducia che mi hanno donato, sento di aver in un certo modo premiato l’investimento che hanno fatto sulla mia persona e mi sento bene… tanto bene, non c’è cosa migliore che aiutare un uomo a ritrovare la propria dignità, tornare a farlo sentire protagonista della vita del Paese, tornare a farlo sentire fiero davanti alla propria famiglia.

Tornare a casa e rispondere alla domanda di mio figlio “papà cosa hai fatto oggi?” “ho fatto sorridere un amico”, “bravo, allora adesso fai sorridere anche me?”.

Alla prossima!!

L’intervista al Corriere Adriatico: “Ecco come ti ricolloco il disoccupato”

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La testata del Corriere AdriaticoIl 1° Maggio, giorno della Festa del Lavoro che mai come oggi risulta essere una festa molto importante e ricca di significati e di speranza, il Corriere Adriatico, quotidiano numero uno della regione Marche, mi ha intervistato per parlare di outplacement.

La ricollocazione professionale è una delle poche politiche attive del lavoro che oggi possono essere messe sul piatto per aiutare chi ha perso il lavoro, a trovare una nuova collocazione. Purtroppo è uno strumento ancora poco conosciuto in particolare tre le piccole e medie imprese, mentre le multinazionali e le grandi aziende, al contrario, già conoscono lo strumento e lo usano con costanza.

Il “quotidiano delle Marche” per definizione ha una diffusione prettamente regionale, ho pensato quindi di pubblicare qui nel blog, il testo dell’intervista per permettere a chiunque di leggerlo, in un’ottica di ulteriore diffusione della conoscenza della ricollocazione professionale.

ECCO COME TI RICOLLOCO IL DISOCCUPATO
Zuccaro è professionista dell’outplacement, accompagna le persone nella ricerca di nuove opportunità.

Continua la crescita dei disoccupati nella Vallesina. Secondo i dati forniti dal Centro per l’Impiego di Jesi, su 76.082 persone in età lavorativa, quasi 10.000 persone sono disoccupate. Il dato non è dei più confortanti, infatti, rispetto al 201 si è registrato un +8% di disoccupati. E’ dunque, il 12,5% della popolazione in età lavorativa a restare senza un lavoro, quasi l’8% di quella residente.

Un ruolo fondamentale in questa situazione è quello che spetta ai professionisti dell’outplacement, branca della consulenza nell’ambito delle risorse umane che si occupa di accompagnare le persone in uscita da un’azienda nella ricerca di nuove opportunità professionali. Uno dei maggiori esperti sul campo è Riccardo Zuccaro, vicepresidente della sezione Marche di AIDP, Associazione Italiana per la Direzione del Personale, ed esperto di outplacement nella zona territoriale della Vallesina e del Senigalliese per conto di INTOO, società multinazionale italiana del lavoro.

Secondo Zuccaro “indubbiamente negli ultimi anni e in particolare da quando la crisi ha colpito nel profondo, l’economia italiana ha dovuto affrontare una serie di cambiamenti e stravolgimenti che in parte si sarebbero dovuti fare tempo fa, ma che il mercato del lavoro si è trovato a dover fare in brevissimo tempo; sconvolgendo di fatto il normale accesso al lavoro“. Particolare attenzione, sottolinea Zuccaro è da dedicare ai giovani, categoria maggiormente colpita dalla disoccupazione: “quasi il 38% dei giovani tra i 16 e i 29 anni residenti nella Vallesina è disoccupato. Sappiamo che il contratto a tempo indeterminato è diventato una chimera, ma la colpa non è imputabile alle sole aziende. Oggi, se il governo non decide di mettere mano al cuneo fiscale, le aziende sempre più difficilmente assumeranno con contratto da lavoratore dipendente, un lavoratore che costa all’azienda quasi il doppio di quello che riceve in busta paga“.

Per quanto riguarda l’outplacement, ossia il reinserimento nel mondo del lavoro, Zuccaro evidenzia che “alcune figure come quella del commerciale sono molto richieste mentre, al contrario, l’operaio non specializzato e l’impiegato del settore amministrativo sono scarsamente ricercate. Ciò perchè negli anni passati le aziende si sono dotate di un numero eccessivo di queste figure“. Il ruolo della specializzazione è fondamentale, ed è considerato anche un plus per l’azienda che deve assumere. E’ importante anche sapere cercare bene. “Secondo dai Unioncamere, gli annunci di cerco lavoro rappresentano solo il 15% della reale domanda. Il resto è trasmesso per passaparola o, addirittura, non viene neanche dichiarato“. Le percentuali di ricollocamento sono positive, l’88% per le figure di base e 93/94% per i quadri e gli impiegati dirigenti. “Il successo passa anche per la formazione, essere sempre disposti a formarsi a qualsiasi età, ad arricchire ed approfondire le proprie competenze in un determinato settore. Non mancano i casi positivi: negli anni passati alcune persone in attesa di ricollocamento, si sono unite e hanno dato vita a loro volta ad una società“.

L’intervista si è chiusa qui, in conclusione mi preme solo sottolineare che l’uso dell’outplacement, specialmente in un momento come questo, è un supporto fondamentale nella ricerca di nuove opportunità di lavoro, nell’intercettare quel 85% di posizioni di lavoro che oggi vengono definite “nascoste” ma che sono reali.

Alla prossima!