Mese: gennaio 2012

SOCIAL NETWORK: c’è il rischio di perdersi. Parte Seconda.

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Riprendo il discorso dell’ultimo post per tornare a parlare di social network e di come oggi, non si possa più fare a meno di averci a che fare.

Giornali, siti web, libri, riviste, programmi televisivi tutti parlano dei social network, ma quali usare e come per evitare di farsi prendere dalla “social media mania”?

Nell’ultimo post ho parlato di quali sono quelli che ritengo fondamentali in ottica di personal branding, gestione del tempo e massimizzazione dei risultati in termini lavorativi: Linkedin, Twitter, Facebook e WordPress, vediamo ora di approfondire il perché essere presenti e come cercare di utilizzarli al meglio.

LINKEDIN: il social network professionale per eccellenza, essere presenti qui è inevitabile per tutti coloro che cercano nuove opportunità lavorative o che vogliono creare un network con professionisti dello stesso settore, per scambiare opinioni attraverso i gruppi di discussione tematici.

Il primo passo è quello di completare il proprio profilo professionale in tutte le sue parti, evidenziando le proprie specializzazioni e conoscenze senza dimenticare di mettere la propria foto, le persone con cui entrerai in contatto vogliono vederti in faccia, in particolare se possono essere interessati al tuo profilo professionale per offrirti una nuova opportunità lavorativa.

Il secondo è quello di entrare in gruppi di discussione relativi al proprio ambito lavorativo, in modo da scambiare opinioni con colleghi e professionisti del settore, mettendo in evidenza le proprie competenze ed arricchire il proprio bagaglio di conoscenze.

In ultimo quando volete entrare in contatto con altri professionisti consiglio di evitare la modalità “amicizia” se non avete mai visto la persona, ma di richiedere il contatto scrivendo due righe di presentazione spiegando il motivo per cui avreste piacere di “linkare” la persona e non dimenticare di ringraziare una volta ottenuta la connessione.

TWITTER: come ho detto nell’ultimo post su Twitter è possibile avere in tempo reale qualsiasi tipo di notizia, rimandando attraverso link ad approfondimenti su altri siti web. Qualche piccolo consiglio: seguire solo chi ci interessa, mettere sempre una foto sul proprio profilo, non usare un nick anonimo, mettere sempre una piccola bio, rispondere e verificare chi ci menziona, non inserire solo testo ma anche video, foto o link ad altri contenuti che chiaramente prima dovete aver letto in prima persona.

FACEBOOK: personalmente, non è la prima volta che lo dico, non vedo Facebook come un social network utile in ambito professionale anzi, credo sia un potenziale pericolo per la propria reputazione digitale.

Facebook nasce e si sviluppa come social network per il divertimento, le persone lo usano come se fossero dentro le quattro pareti di casa o al bar con gli amici, inconsapevoli che il mondo intero può vedere ciò che pubblicano, ivi compresi i propri datori di lavoro o i potenziali tali. Evitate quindi: di pubblicare foto non proprio consone, di scrivere critiche verso l’attuale datore di lavoro, di evidenziare opinioni di natura politica. Rispetto agli esordi oggi Facebook permette di giostrare al meglio con le impostazioni della privacy, usatele bene per evitare di incorrere in questi errori che possono costarvi caro. Facebook può invece essere ben utilizzato dalle aziende per avere un contatto diretto con i propri clienti.

WORDPRESS: in questo caso parliamo di una piattaforma gratuita per l’apertura di un blog personale, molto utile quindi per chi ha la passione per la scrittura e vuole pubblicare contenuti inerenti la propria professione. Questo ci consente di entrare in contatto con altri professionisti e lettori appassionati ai temi che trattiamo ed allo stesso tempo fornire a potenziali nuovi datori di lavoro, informazioni aggiuntive sulla nostra professionalità. Fondamentale dare costanza alla pubblicazione dei contenuti altrimenti meglio non farlo.

Chiudo il post ribadendo che questi sono i social network per me essenziali e che, con un tempo limitato, possono essere tenuti in costante aggiornamento grazie anche ai tablet e soprattutto agli smartphone che ormai sono di dominio pubblico.

Alla prossima!

SOCIAL NETWORK: c’è il rischio di perdersi. Parte Prima

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Ormai tutti parlano di social networking, negli ultimi tempi non c’è un giornale, una rivista, un blog che non dedichi articoli o post sul tema dei social network, una vera e propria overdose di informazione.

Aziende e persone vengono richiamati quotidianamente dalle sirene del social media di turno: Facebook, Twitter, Linkedin, Google+, Youtube e via discorrendo (vedi grafico a fianco); nascono social network quasi con cadenza mensile, va da se che siamo in presenza di una offerta decisamente superiore rispetto alla domanda, il rischio? Semplice, quello di perdersi inesorabilmente nel labirinto, con il risultato di sprecare tempo, non ottenere i risultati sperati e ritrovarsi con in mano un pugno di mosche.

Con il post di oggi e con quella della settimana prossima, voglio cercare di mettere un po’ di ordine tra tutta questa offerta, direzionandovi su quei social media in cui, secondo me, è rigorosamente vietato non essere presenti, in un ottica di:

–        personal branding,

–        gestione del tempo,

–        massimizzazione dei risultati

Da operatore del mondo risorse umane, i miei consigli non sono rivolti alle aziende (sulla cui coerenza nell’uso dei social network ci si potrebbe scrivere un libro) ma a tutte quelle persone che in un momento difficile come quello attuale per il mercato del lavoro, si trovano a dover competere con altri professionisti per poter essere scelti dalle aziende.

Naturalmente per prima cosa occorre definire gli obiettivi: chi sono? Quali sono le mie competenze? Quali aziende mi interessa colpire? Sono interessato a posizioni di lavoro che siano a pochi chilometri dalla mia abitazione o sono disposto a valutare un raggio più ampio?

Una volta che abbiamo risposto a queste domande ed abbiamo chiaro il nostro ambito di azione, risulta abbastanza facile capire che il primo passo da fare per chi cerca lavoro è senza dubbio quello di iscriversi a Linkedin (www.linkedin.com), il social network professionale che ti permette di creare una sorta di cv on line visibile a tutte le persone con cui ci collegheremo, ampliando di giorno in giorno il nostro network, entrando in contatto con una rete sempre più fitta di aziende e professionisti.

Bene abbiamo messo piede nella giungla dei social network, adesso? A questo punto nei profili di Linkedin con cui entreremo in contatto scorrendoli troveremo che la stragrande maggioranza degli utenti ha un nick name vicino alla parola Twitter, ecco ci siamo imbattuti nel secondo social network a cui non è possibile non essere iscritti. Twitter (www.twitter.com) significa letteralmente cinguettare ovvero scambiare in 140 battute (come scrivere un sms) concetti o rimandi a pagine web con contenuti più ampi ed approfonditi; impossibile non esserci, autentica fonte di informazioni, tutti i maggiori organi di stampa e giornalisti sono presenti, così come esperti dei più disparati settori, fino alla gente comune. Al contrario di altri social network qui non occorre chiedere il permesso per seguire (follow) un autore presente in Twitter, basta cliccare sul tasto “segui” ed il gioco è fatto, lo stesso vale per coloro che decidono di seguire quello che noi scriveremo (follower).

In pochi minuti siamo già a quota due, a questo punto anche noi siamo a tutti gli effetti parte integrante del mondo social, possiamo dire la nostra anche quando ci troviamo con gli amici i quali però immediatamente non mancheranno di dirci “ma come non sei su Facebook??”. A questo punto con estremo imbarazzo capiamo che un altro social network ci chiama a gran voce; Facebook (www.facebook.com), il social network per eccellenza, quello a cui praticamente tutto il mondo è iscritto, al suo interno troviamo praticamente di tutto: dal professore delle medie, al medico curante, all’avvocato, dal macellaio di fiducia, a tutti i possibili parenti che non vedevamo da secoli, amici che avevamo perso di vista da tempo e chi più ne ha più ne metta. Scopriamo però quasi subito che pur essendo presenti innumerevoli aziende, forse i contenuti del social network in questione rischiano di essere troppo personali, spesso prevedono persino un coinvolgimento emotivo o fin troppo goliardico, varrà la pena esserci?

Bene facciamo un primo punto della situazione: abbiamo il curriculum on line, siamo connessi con il mondo ed abbiamo notizie ed informazioni in tempo reale e con le stesse tempistiche noi possiamo dire la nostra e far pesare la nostra esperienza in determinati settori, in tempo reale siamo in contatto con tutti gli amici e le aziende che ci interessano. In ottica di personal branding, iniziamo ad essere abbastanza attivi, cosa ci manca? Dipende da chi siamo e da cosa abbiamo risposto alle domande che ho riportato in alto, certo essere presenti su questi tre social media in modo corretto significa impegnare già abbastanza tempo ed ottenere ottimi risultati in termini di resa, ma un’ultimo sforzo possiamo dedicarlo alla redazione di un blog, ovvero una sorta di diario on line, in cui appuntiamo quello che pensiamo sia utile dire per noi stessi e soprattutto per tutti coloro che decideranno di leggerci e che ci concederanno la loro attenzione. WordPress (www.wordpress.com) è uno dei maggiori fornitori di spazi gratuiti per la redazione di un blog personale, una sorta di giornale digitale in cui siamo noi a decidere i contenuti.

Ci sarebbero tanti altri social network: Google+, Youtube, Flickr, Myspace, Scoop.it, ecc.. alcuni di essi possono essere di supporto in termini di contenuti per i blog e gli altri social network, altri sono solo agli esordi, altri ancora sono realmente inutili, perché non dimentichiamoci che se è pur vero che oggi non possiamo non essere presenti nei social e quindi avere una vita virtuale, esiste pur sempre la bellezza della vita reale.

Chiudo qui il primo post sul tema, nella seconda parte che pubblicherò la prossima settimana, andrò ad analizzare per ogni social network citato i miei personali consigli su come muoversi all’interno di ognuno di essi, cercando di evitarvi di fare errori che potrebbero distruggere in un baleno la vostra reputazione digitale.

Alla prossima!

ARTICOLO 18: ma è davvero un tabù?

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In questi mesi la riforma del lavoro è balzata improvvisamente alla ribalta, con il risultato che oggi tutti parlano di temi che con molta probabilità in pochi conoscono realmente, con risultati pessimi.

Il mio lavoro in ambito risorse umane e la passione per le materie che lo riguardano, mi hanno portato a fare numerose letture e chiaccherate con persone esperte; mi sono fatto una idea più chiara su questo tentativo di riforma, che voglio condividere con voi.

Fulcro della riforma è il famigerato articolo 18, ovvero quell’articolo dello Statuto dei Lavoratori (redatto nel lontano 1970) che sancisce il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato; la norma così descritta sembra essere sacrosanta, ma se andiamo ad analizzarla in profondità scopriamo che così non è, ecco il perché.

Per prima cosa l’articolo in questione si applica alle aziende che occupano più di 15 lavoratori, per tutte le altre no; in Italia ufficialmente ci sono molte più aziende che hanno 15 o meno dipendenti (quindi non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 18) di quelle che ne hanno più di 15; ma se analizziamo bene i numeri scopriamo che la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti lavora nelle aziende sopra i 15 dipendenti, perchè in quelle tante “aziende” classificate nella soglia inferiore, in realtà si annidano le partite iva cosiddette “fasulle”, ovvero quei lavoratori a p.iva che in realtà sono mono-committenti (lavorano per un’unica azienda), sono quindi in realtà lavoratori dipendenti a tutti gli effetti ma non sono assunti dall’azienda, una “regolarissima” forma di elusione proprio dell’articolo 18.

Il secondo aspetto di cui tenere conto riguarda il fatto che l’applicazione dell’articolo 18 genera delle problematiche pesantissime per l’azienda che lo subisce (le vedremo dopo) tanto da indurre le aziende a ridurre il numero dei lavoratori subordinati, aumentando l’uso di tutte quelle forme di lavoro che evitano all’azienda stessa l’assunzione diretta di personale, con il risultato che è oggi sotto gli occhi di tutti, il precariato a vita. In sostanza oggi in Italia, come dice Ichino, ci sono lavoratori di serie A (costituita dai lavoratori subordinati regolari assunti a tempo indeterminato) e di serie B (tutti gli altri); i primi godono di tutte le protezioni del caso, i secondi di poco o nulla a seconda della tipologia di contratto con cui sono assunti.

Parlavo di problematiche legate all’applicazione dell’articolo 18, riguardano sostanzialmente il fatto che se una azienda va in giudizio con un dipendente cha ha impugnato il licenziamento ritenendolo ingiusto (non entro nel merito se lo sia realmente o meno), sa quando inizia ma non sa quando e come finisce. I processi di diritto del lavoro durano in media 6 anni, con record negativi di 12 e record positivi di tre/quattro anni; anche ipotizzando che l’azienda possa aver vinto tutte le battaglie, se non vince l’ultima è comunque chiamata a: reintegrare il lavoratore, pagargli tutte le mesilità dal momento del licenziamento (rivalutate chiaramente), pagare i contributi e relativa sanzione per averli omessi durante tutta la durata del processo, le relative spese processuali e se il lavoratore non vuole essere reintegrato, pagare una indennita di 15 mensilità al lavoratore stesso. Capite bene come ci siano aziende (PMI in particolare) che hanno rischiato, per un lavoratore, di chiudere e mettere sulla strada tutti i restanti lavoratori. Risulta chiaro, a fronte di quanto riportato, che se una azienda decide di ricorrere in giudizio, lo fa a ragion veduta eppure spesso non basta, i rischi di uscire sconfitti in giudizio sono elevati come abbiamo visto; logica conseguenza per le aziende, specialmente medio piccole, è quella di salvaguardarsi da questo rischio usufruendo ed abusando spesso di forme di lavoro precario, vuoi per riuscire  a non superare la fatidica soglia dei 15 dipendenti, vuoi perchè in quel modo sono liberi di chiudere il rapporto di lavoro quando vogliono, non è quindi l’articolo 18 un freno allo sviluppo delle aziende e del mercato del lavoro che dovrebbe proteggere??

Ci sarebbe ancora molto da parlare, chiudo con una annotazione nei confronti del sindacato (qualsiasi sigla), è indubbio che la presenza del sindacato è stata ed è fondamentale per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori, occorre però che oggi facciano uno scatto in avanti e non mettano veti a prescindere a qualsiasi riforma del diritto del lavoro che, come abbiamo visto, sono spesso controproducenti per gli stessi lavoratori che dovrebbero proteggere. Credo che la riforma proposta da Ichino sia una delle proposte migliori da prendere in esame e su cui il governo tecnico sta lavorando, obbligare tutti all’assunzione a tempo indeterminato in cambio di una maggiore flessibilità in uscita per motivi economico-organizzativi con relative indennità e sostegno alla ricollocazione, aprirebbe sicuramente le porte allo sviluppo e farebbe terminare questa disparità enorme tra lavoratori di serie A e di serie B.

Alla prossima

IMPIEGO PUBLICO: riforma possibile?

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Riforma BrunettaInizio il 2012 affrontando un argomento che spesso, troppo spesso, i governi siano essi di centrodestra che di centrosinistra, adorano mettere tra i punti cruciali del loro programma elettorale ma che poi, nella pratica, viene rigorosamente irrealizzato, la riforma dell’impiego pubblico.

Premetto che non parlo solo a titolo di persona che opera quotidianamente con le risorse umane ma anche in qualità di consigliere comunale di opposizione di un piccolo comune di tremila anime (Monsano – AN), quindi come persona direttamente coinvolta nei processi di gestione delle risorse umane nel pubblico.

La riforma Brunetta che sembrava essere la prima riforma seria del settore, in realtà con il passare del tempo si è svuotata di contenuti e ad oggi possiamo tranquillamente dire che è naufragata. Perché? Andiamo a vedere:

Il primo segnale è dato dall’ente che avrebbe dovuto, in forma autonoma ed indipendente, valutare le performance delle varie amministrazioni pubbliche il CIVIT (Commissione per l’Integrità, la Valutazione, la Trasparenza delle amministrazione pubbliche) che è praticamente tutto fuorché indipendente essendo i membri nominati dal governo anche se poi devono essere ratificati dal parlamento.

Il presidente è Antonio Martone, magistrato di Cassazione che fino a poco prima della nomina era presidente della Commissione di Garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici; nome che andrebbe anche bene se non che si scopre che pochi mesi prima dell’insediamento, il figlio Michel ha ricevuto incarico per una consulenza di 40.000,00 € dallo stesso Brunetta su di un tema a dir poco di secondaria importanza “i problemi giuridici della digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche di paesi terzi” (se fate una ricerca in Google sull’argomento potrete anche approfondire, argomento tra l’altro evidenziato anche da Ichino nel suo ultimo libro Inchiesta sul Lavoro). Capite bene che in un momento di crisi come quello attuale, sperperare soldi in questo modo fa sorgere quantomeno dei forti dubbi sull’utilità della consulenza. La cosa che più mi sconcerta è che lo stesso Michel Martone oggi è Vice Ministro del Lavoro dell’attuale governo tecnico Monti. Ma se andate ad approfondire vedrete che ci sono altre consulenze bislacche che lasciano abbastanza basiti.

Il secondo punto riguarda il fatto che dalla riforma vengono esclusi prima tutti i lavoratori pubblici della Presidenza del Consiglio e poi tutti quelli del dicastero dell’Economia, come mai? In queste strutture c’è personale che può operare in forma indipendente, lontano da qualsiasi giudizio? Non credo.

Il terzo punto riguarda gli obiettivi che dovrebbero essere dati ai vari dirigenti pubblici, obiettivi che dovrebbero essere raggiungibili e misurabili, sulla base dei quali operare azioni premianti o penalizzanti come il percepire o meno incentivi o il rischio stesso della perdita del posto di lavoro da parte del dirigente che non raggiunge gli obiettivi concordati. Questo è un tasto estremamente dolente, perché tali obiettivi o non ci sono per niente (nella maggioranza dei casi) o vengono, chissà perché, sempre raggiunti. Un aneddoto del mio Comune per spiegare cosa succede nella PA: in fase di approvazione del bilancio il revisore dei conti nelle note al bilancio stesso recita testualmente “si ribadisce che in relazione alla contrattazione decentrata è opportuno che gli obiettivi siano definiti prima dell’inizio dell’esercizio e in coerenza con quelli di bilancio ed il loro conseguimento costituisca condizione per l’erogazione degli incentivi previsti dalla contrattazione integrativa (art. 5, comma uno del d.lgs. 150/2009).” Cosa significa? A voi la deduzione…

Il quarto ed ultimo punto che ci fa capire che la riforma Brunetta è naufragata riguarda il fatto che nel Maggio 2010, Tremonti vara una manovra che di fatto ha tagliato i fondi per i premi ai meritevoli. A questo si unisce l’intesa firmata da Brunetta con Cisl, Uil ed Ugl di Febbraio 2011, in cui si garantisce che a nessuno, anche se inefficiente, verrà tolto un euro dal salario accessorio.

In chiusura mi domando, perché in Italia vogliamo ancora tenere separato impiego pubblico da impiego privato? Credo che uno dei passi che potrebbero avvicinarci al resto d’Europa (in particolare alle regioni nordiche da sempre all’avanguardia in questo campo e fonte inesauribile di benchmark), sia proprio quello di far capire a tutti che qualsiasi tipo di lavoro deve essere valutato in egual misura, senza creare privilegiati (settore pubblico) e disagiati (settore privato), credo sia un atto di civiltà.

Nell’agenda del governo tecnico dovrebbe essere presente anche questo tipo di riforma; al momento mi sembra che sono diversi i settori toccati dalla manovra ed altri ne saranno toccati ma non quello pubblico (sfiorato appena con la riforma delle pensioni).

Alla prossima e… Buon Anno!!!