Mese: giugno 2014

JOBS ACT: la parola agli avvocati.

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La locandina dell'evento
La locandina dell’evento

Venerdì scorso Confindustria Pescara ha ospitato un incontro dal titolo “Dal Jobs Act alla conversione del Decreto Lavoro:  quali risposte alle esigenze di flessibilità delle aziende” tra i relatori l’Avv. Luca Failla di LABLAW, l’Avv. Andrea Bonanni Caione di LABLAW e il Dott. Pierluigi Rausei ADAPT Professional Fellow – Dirigente Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Obiettivo dell’incontro quello di dare il parere legale sulle nuove norme recentemente approvate con la conversione del Decreto Lavoro; fantastico notare che, come sempre accade in questi casi, la volontà iniziale del governo viene in buona parte sacrificata quando ci si imbatte nella scrittura tecnica della normativa. La complessità del diritto italiano, in cui una virgola messa in un posto piuttosto che in altro, cambia radicalmente l’interpretazione giuridica della norma, lascia sempre spazio a variazioni di intenti rispetto al contesto dal quale si parte.

Il Jobs Act non fa eccezioni in particolare nella normativa relativa al contratto a termine; la prima cosa da notare è di come sia stata completamente stravolta una parte della Riforma Fornero di pochissimo tempo fa; in quella riforma ricorderete come fu notevolmente rivista in senso restrittivo la flessibilità in entrata a fronte di una maggiore flessibilità in uscita e di come, seppur con un primo contratto a termine acausale di 12 mesi prorogabile all’interno dei 12 mesi, in realtà la causale rivestisse ancora una parte fondamentale del contratto a termine.

Con la nuova normativa di colpo spariscono le causali, per cui se prima il contratto a termine veniva utilizzato solo per il soddisfacimento di una prestazione professionale temporanea e non definitiva, oggi con la acausalità paradossalmente il contratto a termine può essere utilizzato anche in presenza di esigenze professionali stabili da parte dell’azienda. Infatti, paradossalmente, l’azienda può ogni 36 mesi (durata massima del contratto a termine comprensivo delle proroghe) cambiare lavoratore per la stesssa mansione, concludendo il contratto con uno per riattivarlo con un’altro. Non solo, il medesimo lavoratore una volta terminati i 36 mesi di contratto a termine acausale, può benissimo essere assunto con un nuovo contratto a termine nella medesima azienda, basta che non svolga mansioni equivalenti alla precedente. Quest’ultimo punto è già oggetto di discussioni e di denunce alla corte europea perchè violerebbe proprio una normativa europea in materia.

Il contenzioso quindi non viene eliminato ma si sposta da una parte ad un’altra, se prima il grosso del problema era rivolto alla specificità della causale, oggi sparendo quest’ultima ci si sposta su altre cose, come ad esempio sulle percentuali massime di lavoratori assumibili a tempo determinato. Sapete infatti che la normativa prevede per gli assunti a termine, il limite del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza dal 1 gennaio dell’anno di assunzione, fatti salvi i limiti previsti dai contratti collettivi nazionali (a volte più bassi altri più alti). Il problema sollevato dagli avvocati di LABLAW sta nel fatto che non è così immediato capire come conteggiare i dipendenti a tempo indeterminato: ad esempio apprendisti, part-time, lavoratori intermittenti, dirigenti si contano nel computo o no? E se si come? (i part-time contano come mezza testa o come testa intera?)

Quello che LABLAW consiglia caldamente alle aziende è che, se si hanno necessità di personale a tempo determinato per lunghi periodi di tempo la strada da seguire è quella della somministrazione, primo perchè è anch’essa acausale, secondo perchè esula dalla normativa del contratto a termine, infatti nel limite del 20% dei contratti a termine non rientrano i somministrati il cui limite è imposto solo nei contratti collettivi nazionali, la limitazione temporale dei 36 mesi è un limite che riguarda il contratto non il rapporto e come sapete nella somministrazione il contratto di lavoro è tra lavoratore e società di somministrazione non direttamente con l’azienda utilizzatrice che ha un contratto commerciale con la società di somministrazione. In parole povere il legislatore dice chiaramente che le esigenze strutturali di flessibilità delle aziende vanno gestite tramite somministrazione.

Questi gli spunti di maggiore interesse emersi dall’incontro di venerdì, personalmente rimango fermamente convinto che la strada da percorrere sia un’altra quella che ho proposto nel post “una riforma del lavoro possibile“, inutile che ogni due per tre ci inventiamo mezze riforme, occorre prendere una decisione vera e fare quel passo che ci portarà veramente al nuovo.

Alla prossima!!

 

LIFE SKILLS: un aiuto alla crescita di bambini ed adolescenti.

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Life Skills per i ragazzi
Life Skills per i ragazzi

Ho già toccato questo argomento più di un anno fa, lo toccai in modo marginale credo sia necessario tornarci sopra ed approfondire questo aspetto che ancora in pochi conoscono.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato, nella sua prima versione, nel lontano 1994 un documento dal titolo “Life Skills education for children and adoloscents in Schools” in cui si mette in evidenza come sia importante insegnare ai ragazzi queste abilità e capacità cognitive, emotive e sociali di base che l’OMS raccoglie in 10 competenze:

Consapevolezza di sé (Self-awareness)
Gestione delle emozioni (Coping with emotions)
Gestione dello stress (Coping with stress)
Empatia (Empathy)
Pensiero Creativo (Creative Thinking)
Pensiero Critico (Critical Thinking)
Prendere buone decisioni (Decision making)
Risolvere problemi (Problem solving)
Comunicazione efficace (Effective communication)
Relazioni efficaci (Interpersonal relationship skills)

Ma a cosa servono queste competenze? L’OMS testualmente riporta “sono le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni“.

In Italia sempre più soggetti istituzionali (scuole, istituti), associazioni, società sportive ecc. si stanno sensibilizzando al tema visto anche quello che le cronache quotidianamente ci raccontano; il target dei ragazzi da prendere in considerazione è quello che va dai 6 ai 16 anni di età, ovvero tutta quella fascia di popolazione che rientra nella fase pre-adolescenziale e adolescenziale vera e propria. Sappiamo bene come i ragazzi in questa età, vivano momenti di crescita che, se mal gestiti, possono segnarli negativamente per tutta la vita fino a portarli anche a pesanti disagi mentali.

Lo sviluppo delle Life Skills permette agli individui di tramutare la conoscenza, attitudini e valori in abilità, ovvero di sapere cosa fare e come farlo quando si presenta la situazione, capire quindi come reagire quando ci si trova davanti ad atti di bullismo, prevenire situazioni di pericolo come uso di droghe e abuso di alcool, saper gestire situazioni in cui può venire minata la propria autostima.

Per lo sviluppo di queste capacità normalmente si lavora in gruppi o a coppie, facendo brainstorming, giochi di ruolo o dibattiti a seconda dell’età a cui ci si rivolge; anche nell’ambito sportivo è importante prestare cura a queste competenze, lo sport è già di per se una scuola di vita ma può aumentare il suo lato educativo proprio prendendosi cura di sviluppare almeno alcune di queste competenze: in particolare aumentare la consapevolezza di se, l’empatia intesa come capacità di relazionarsi al meglio con i compagni di squadra, riuscire a gestire al meglio le emozioni e lo stress che può venire da una partita importante, essere capaci di prendere decisioni giuste al momento giusto sono tutte componenti che sono insite nello sport.

Nonostante tutto occorre fare ancora passi da gigante, specialmente sul lato scolastico, se da un lato è pur vero che le scuole stanno passando un momento sicuramente negativo sul lato fondi, il MIUR (Ministero dell’Istruzione) non può esimersi dal prendere in considerazione che creare progetti specifici per i ragazzi, possa aiutarli a superare momenti difficil; in parte lo sta già facendo (la regione Toscana mi sembra particolarmente attiva in tal senso) ma ancora tanto c’è da fare.

Alla prossima!!

 

Un nuovo futuro economico

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Un nuovo modello economico è possibile
Un nuovo modello economico è possibile

Negli ultimi giorni ho partecipato ad alcuni seminari come relatore, ecco perchè questo post arriva con un pò di ritardo dal precedente, seminari in cui si è discusso di positività, ottimismo ma anche di ripensare il futuro dell’Italia.

Interessanti le riflessioni che sono emerse da un confronto avuto con alcuni HR Manager umbri; risulta chiaro ed evidente che l’Italia deve rivedere la sua politica industriale, ad emergere da questo periodo post crisi c’è un mercato completamente diverso, sono perfettamente daccordo con il Presidente di Confindustria Ancona Claudio Schiavoni che all’evento dal titolo “Fiducia ed Ottimismo: i nuovi valori del bene comune” organizzato la scorsa settimana dalla Aurora Basket Jesi nell’ambito del progetto B4B (Basket for Business) ha testualmente detto: “la crisi è finita, quello che stiamo attraversando è un’altra cosa, è un mercato diverso da quello in cui eravamo abituati ad operare, dobbiamo adattarci a questo nuovo mercato che non può più essere quello di prima“.

Dobbiamo ripensare la nostra industria, rivedere le nostre priorità come sistema Paese; l’Italia ha un grande asset unico da valorizzare che nessuno può portarci via ed è la forza del suo brand, il cosiddetto MADE IN ITALY che tanto ha fatto ed ancora oggi fa nel campo della moda, dell’agroalimentare. Dobbiamo ripartire da li, dal lavorare tantissimo sul nostro brand principale capace di portare valore reale apprezzato e riconosciuto in tutto il mondo, dobbiamo rivedere il nostro modello produttivo da prodotto di massa a bassissimo valore aggiunto su cui, inutile illuderci, non siamo più competitivi ad un modello basato su prodotti tipicamente MADE IN ITALY di alta gamma che mettano in evidenza la nostra sapiente artiginalità e conoscenze tecnologiche, trasformarsi in quello che ho chiamato un modello basato sulla artigianalità-industriale.

Le istituzioni devo adoperarsi affinchè a livello europeo venga difesa e valorizzata la nostra tipicità, vanno aumentate le tutele e premiato il solo e vero made in Italy quello fatto interamente sul territorio nazionale; vanno riviste quindi anche le politiche di comunicazione verso il resto del mondo in un ottica di diffudione di una vera cultura della italianità. Paradossalmente stiamo perdendo la nostra tradizione, quello che veramente ci differenzia, facciamo sistema usciamo dalle parrocchie e dai campanilismi e pensiamo in termini di Paese, dobbiamo sviluppare la capacità di cooperare.

A proposito di cooperazione dobbiamo anche tornare a mettere al centro la persona, gli anni che hanno seguito il boom economico ci hanno portato sempre di più a spostare l’attenzione su una civiltà del consumatore, abbiamo perso di vista la persona. Sono sbalordito quando sento imprenditori, politici ed anche uno dei sindacalisti più radicali come Landini della FIOM dire che occorre anticipare il tfr in busta paga per rilanciare i consumi, una assurdità totale perchè in primis si va a depauperare un tesoretto che a fine carriera ognuno di noi può utilizzare ed investire come meglio crede e poi perchè torneremo a “drogare” il mercato con una immissine momentanea di liquidità che non risolverebbe alcunchè se non nel brevissimo periodo, proprio perchè va rivisto il sistema, non basta incitare i consumi occorre creare valore.

Dal creare valore, dal rimettere al centro la persona, dal coopeare e collaborare tutti concetti emersi negli incontri, si arriva facilmente al creare una nuova economia che va oltre il confine italiano ma che dovrebbe permeare l’intero pianeta, l’economia del bene comune. Mi sono imbattuto in questa teoria proprio durante uno di questi incontri, grazie ad un imprenditore che sta iniziando ad applicarla nella sua azienda con risultati sorprendenti. La teoria fa capo a Christian Felber scrittore e storico in ambito economico che ha recentemente scritto un libro dal titolo “L’economia del bene comune“, una teoria che ha alla base i valori fondamentali di fiducia, cooperazione, stima, democrazia e solidarietà; scopo della teoria è quello di promuovere una vita buona per tutti gli esseri viventi e per il pianeta, sorretta da un sistema economico orientato al bene comune; dignità umana, equità e solidarietà, sostenibilità ambientale, giustizia sociale sono questi gli elementi fondamentali che stanno alla base dell’idea.

Ho letto velocemente i punti principali della teoria, personalmente non sono daccordo su tutti vale però l’idea rivoluzionaria che porta in se, quella del cambiamento di paradigma che stimola le persone ad agire in cooperazione attraverso una valorizzazione reciproca.

E’ stata una settimana ricca quella trascorsa, che mi ha fatto prendere consapevolezza che persone stanno cambiando, c’è aria nuova, c’è voglia di fare, c’è voglia di ricostruire, diamoci da fare un nuovo inizio è possibile.

Alla prossima!!