Mese: settembre 2011

EMOZIONARE, per farsi scegliere

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Prendo spunto da un paio di letture che sto facendo in questo periodo, in particolare il libro di Centenaro e Sorchiotti dal titolo Personal Branding ed il libro di Tassarotti e Varini dal titolo Coaching, per tornare a parlare di outplacement, networking e costruzione del proprio brand, in modo da catturare o farsi catturare da nuove opportunità di lavoro.

Come dico da tempo, oggi il web 2.0 è un validissimo alleato nella costruzione di un proprio marchio, nel farti identificare prima e meglio di altri. Le stesse aziende da tempo hanno cambiato strategie di comunicazione cercando di avere sempre più contatto con i loro clienti, aprendo profili su Facebook e Twitter.

In un processo di ricollocamento, risulta ancor più importante affinare una propria strategia di personal branding, cosa che può essere fatta sia “on line” che “off line”. Per prima cosa concentrati su quello che ti rende speciale, sulla competenza nella quale ti senti di eccellere; la peggior cosa che si può fare è quella di pretendere di passare per tuttologi, la specializzazione paga, sapere di fare quella determinata cosa nel migliore dei modi possibili.

Da qui parti e crea la tua strategia di comunicazione: racconta, se possibile, una storia di successo inerente la tua attività (l’azienda Tizio aveva il problema Caio, ho risolto il problema Caio sviluppando la soluzione Sempronio), pubblicizzala nel mercato, attraverso il tuo network sia sul web, ad esempio partecipando a discussioni su Forum inerenti la tua attività, sia nel mondo reale, ad esempio presenziando ad eventi sul tema, ti aiuterà ad ampliare il tuo network e parallelamente ti permetterà di conoscere di persona i tuoi possibili nuovi datori di lavoro.

L’altro passaggio che va fatto è quello di emozionare i tuoi interlocutori, come dicono Centenaro e Sorchiotti il Brand è un’emozione, banalmente vi siete mai chiesti perchè scegliete di bere la Sprite e non la gazzosa? Semplice, perché abbiamo familiarità con quel marchio e l’associamo in automatico al prodotto gazzosa. Lo stesso deve accadere per la nostra persona e quello in cui siamo specializzati, arrivare a farsi scegliere, come dice Anna Martini, perché per quel tipo di attività siamo il riferimento.

Nei colloqui con i tuoi potenziali nuovi datori di lavoro, devi sempre cercare di suscitare in loro un’emozione per far si che ti scelgano, il nostro cervello funziona in questo modo. Quante volte ti è capitato a feste o altri eventi di conoscere persone ed alla fine di non ricordarti neanche il nome di chi hai conosciuto? Non ti hanno lasciato nulla; quali sono i momenti che ricordi maggiormente di quando eri bambino? Quelli in cui hai vissuto una forte emozione e che si sono stampati indelebilmente nella tua memoria.

Quando ti prepari per un colloquio di lavoro, quando fai personal branding, quando conosci nuove persone, ricordati di emozionarle, solo in questo modo sarai associato alla tua professionalità e verrai scelto.

Alla prossima

L’OTTIMISMO: fonte di benessere

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Torno a parlare di outplacement, in particolare del modo in cui i candidati dovrebbero affrontare il percorso di ricollocamento. Come ho già fatto per un altro post anche questa volta inserisco l’immagine di un altro bel film che ho avuto l’occasione di vedere e che tocca l’aspetto crisi economica e percorso di ricollocamento; il film si intitola The Company Men e parla di un gruppo di manager affermati che, causa crisi, si trovano improvvisamente senza lavoro ed affrontano un percorso di ricollocamento.

Un cast di prestigio con attori del calibro di: Ben Affleck, Kevin Costner, Tommy Lee Jones solo per dirne alcuni, tracciano una istantanea reale di quello che sta accadendo nel mondo del lavoro americano, ma che può essere tranquillamente ribaltato in Europa. Manager con incarichi importanti e retribuzioni di prestigio, abituati a gestire numerose persone che improvvisamente si ritrovano catapultati nel mercato del lavoro.

Come ho già detto in passato, la condizione psicologica di chi si viene a trovare in queste situazioni è veramente difficile, personalmente sono stato in contatto con persone che, pur essendo abituate a gestire persone e budget di rilievo davanti a me avevano le mani che tremavano come una foglia. Il nostro compito come operatori del settore, è quello di mettere subito a proprio agio la persona, ricostruire la sua autostima che con la perdita del posto di lavoro, è stata messa in forte discussione.

Altresì importante però è che la persona che si appresta ad iniziare il percorso di ricollocamento, lo faccia con la giusta predisposizione, con la giusta motivazione, con la grinta di emergere dal pantano in cui si è trovato, insomma in poche parole occorre essere ottimisti.

L’ottimismo e l’essere positivi anche in situazioni difficili è la carta vincente in qualsiasi sfida la vita ci riserva; è scientificamente dimostrato (Segerstrom, Taylor, Kemeny & Fahey, 1998) che l’ottimismo influenza positivamente anche la salute fisica e psicologica della persona rendendo il nostro organismo più resistente alle malattie, contenendo i livelli di stress. Recentemente mi sono imbattuto in una pubblicazione della Eulab Consulting (http://www.eulabconsulting.it/index.php?option=com_content&view=article&id=112:newsletter-nd9-imparare-lottimismo&catid=38:cat-newsletter&Itemid=60) che vi invito a leggere, parla proprio di ottimismo e delle ricerche di Martin Seligman sull’argomento da cui emerge testualmente che “individui che si distinguono per una valutazione degli eventi come incontrollabili, sentendosi in loro balia, diventano passivi, rassegnati, ansiosi e depressi” cosa questa che non accade in chi invece interpreta con ottimismo anche le situazioni difficili.

Tornando al film menzionato ad inizio post, è proprio l’ottimismo e la voglia di rimettersi in gioco la chiave di volta che poterà i manager a trovare un nuovo inizio, perché dopo la notte inizia sempre un nuovo giorno.

Alla prossima

LinkedIn: Orsi o Leoni???

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La domanda è ovviamente una provocazione e riguarda il modo di fare networking in particolare su Linkedin, il social network professionale per eccellenza. Se siete iscritti a Linkedin con molta probabilità vi sarete imbattuti in alcuni profili che riportano vicino al nome la dicitura LION, che vorrà mai dire?? La domanda è più che lecita anch’io me la sono posta più e più volte, alla fine ho risolto l’arcano, LION è l’acronimo di Linked In Open Networker che tradotto in italiano sarebbe una persona che vuole un network aperto per chiunque, ciò significa che accettano il contatto di qualsiasi persona lo chieda.

Prendo spunto da questo modo di essere networker per fare una digressione che segue, in parte, il filo di altre discussioni sul tema fatte da colleghi, blogger e personal brander. Cosa fare? Essere un “leone” aperto alle relazioni con chiunque rischiando di creare un network enorme ma che non coltiverai mai, oppure essere un “orso” chiuso nella stretta cerchia di chi conosci, non disponibile a dare connessioni a persone sconosciute?

Personalmente credo che la verità stia nel mezzo, come sempre del resto; molto dipende dal perché siamo su quel social network. La domanda da porsi quindi è: cosa mi aspetto dalla mia presenza su Linkedin? Se l’obiettivo è quello di essere ulteriormente in contatto con le persone che già conosco, far conoscere loro i miei sviluppi professionali, i progetti che sto portando avanti e che sviluppo, le eventuali nuove sfide professionali, allora possiamo anche essere “orsi” e relegare il nostro network solo a coloro che già conosciamo. Se invece la nostra presenza sul social network è in ottica personal branding, beh allora non possiamo che essere aperti al nuovo, disposti ad accettare le connessioni di molte delle persone che ce lo chiedono, perché dico molte e non tutte? Credo che anche una presenza in Linkedin per incrementare il personal branding e di conseguenza il proprio network, vada comunque regolata dal buon senso; ognuno di noi opera in un determinato settore, è in quel contesto che dobbiamo essere dei “leoni”, aperti a chiunque ci chieda connessione fossero anche concorrenti, ma se la richiesta ci viene da una persona che magari è all’estero e si occupa di tutt’altro, che senso ha essere connessi?? Riuscirò mai ad avere una relazione reale con lui/lei? Cosa posso dare e ricevere dalla connessione??

Come vedete quindi non c’è una verità assoluta, “leoni” o “orsi” che sia dobbiamo comunque ammettere che se siamo su un social network per definizione siamo li per fare relazioni, per forza di cose quindi dobbiamo essere disponibili a connetterci, possiamo scegliere se con più o meno moderazione, ma alla base deve esserci la disponibilità a fare network.

Chiudo con un paio di suggerimenti personali su come entrare in contatto con persone che ci interessa linkare:

1) Mai mandare inviti come amico se non conosciamo affatto la persona che stiamo contattando.
2) Scrivere sempre due righe di messaggio in cui spiegare il perché gradiremmo avere quella persona nel nostro network.
3) Ringraziare sempre, se possibile, la persona che ci ha chiesto il link scrivendo un breve messaggio di ringraziamento.

Sono suggerimenti elementari e che riguardano più le buone maniere che altro, ma vi assicuro che la maggior parte delle volte sono totalmente disattesi.

Alla prossima e…. buon network!!

Outplacement: l’onestà prima di tutto.

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Torno a parlare di outplacement perché spesso mi imbatto in situazioni che mi lasciano perplesso; ripartiamo dal concetto fondamentale che l’outplacement è un servizio a supporto del candidato nella ricerca di un nuovo lavoro, non è la panacea di tutti i mali.

Questo per dire che il percorso di ricollocamento va fatto in due, il candidato insieme al consulente che lo affianca; iniziare un percorso di outplacement per il candidato, non significa aspettare che il consulente lo chiami per dirgli “eccoti il tuo nuovo lavoro”, significa impegnarsi in un percorso che lo vede come protagonista nel suo rilancio nel mondo del lavoro. Il consulente è il suo supporto nel percorso, lo affianca con attività di coaching, fa un checkup della sua carriera, lo aiuta nel fare chiarezza su quale possa essere il suo futuro professionale, lo supporta anche psicologicamente specialmente nei momenti iniziali del percorso in cui il candidato spesso deve ancora metabolizzare la perdita del lavoro, lo indirizza nelle scelte professionali.

Da puglie amatoriale, parafrasando quanto sopra, quando entro in palestra per imparare a boxare e migliorare l’efficienza muscolare, vengo affiancato nel percorso da un maestro che mi dice come devo usare gli attrezzi, siano essi i pesi, il sacco, come muovermi, come tirare i colpi, fino a salire sul ring e raggiungere il risultato prefisso; lui mi insegna ma se io non lavoro in prima persona, non solo non raggiungerò l’obiettivo prefissato ma rischierò anche di farmi male seriamente. Ecco il consulente che affianca il candidato in un percorso di ricollocamento fa la stessa cosa: fornisce gli strumenti ed insegna ad usarli, sta al candidato utilizzarli al meglio per raggiungere il risultato. Un candidato che si è ricollocato pochi giorni fa al telefono tra l’altro mi ha detto “inizio un nuovo percorso professionale, ho imparato che nulla è definitivo, oggi però ho tutti gli strumenti per cavarmela semmai mi dovessi ritrovare in una situazione del genere”.

Questo per quanto riguarda i candidati, occorre però essere sinceri ed ammettere che spesso i candidati arrivano ai colloqui preliminari con queste convinzioni sbagliate perché non tutti gli operatori del settore si comportano onestamente specificando bene i contenuti del servizio. Spesso capita che ci siano consulenti che quando sono contattati dai candidati per un colloquio preliminare, ovvero il colloquio fatto con il candidato prima che lo stesso scelga se avvalersi o meno del servizio, pur di convincerlo a servirsi della società che rappresenta, promettono ricollocazioni rapide e posti di lavoro già pronti che aspettano solo il candidato. Non è così! Siatene certi, quando scegliete la società di cui avvalervi nel percorso fate caso a questi aspetti, valutate il materiale che vi viene presentato, io ad esempio parlo solo con dati alla mano, non invento nulla, capisco che nella situazione in cui ci si trova sia facile cadere in tentazione ma è solo controproducente per il candidato in prima persona ma anche per tutte le società che lavorano onestamente nel settore, ecco perché dico: l’onestà prima di tutto.

Alla prossima

Costruirsi il proprio “Brand”

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Sempre più persone, purtroppo anche amici, mi scrivono o mi chiamano per chiedermi consiglio su cosa fare quando ci si trova improvvisamente senza lavoro.

La cosa che dico a tutti è che non sono ne un mago ne un veggente, se non si è riusciti a ricorrere all’uso di un servizio di ricollocazione professionale, occorre muoversi da soli, i miei sono dei consigli che derivano dalla mia esperienza giornaliera in ambito outplacement; la prima cosa da fare quando ci si trova in questa situazione è quella di non farsi prendere dal panico, può sembrare banale, ma vi garantisco che non lo è: le responsabilità nei confronti della famiglia, l’età che avanza, la situazione economica attuale, sono situazioni che spesso a volentieri possono portare le persone a  scoraggiarsi e cadere in depressione.

Occorre rimanere lucidi e reattivi, non abbattersi, credere nelle proprie capacità e rimettersi sul mercato; quello che segue vale anche per chi, insoddisfatto della propria posizione lavorativa attuale, cerca nuove opportunità di carriera.

Per prima cosa consiglio di fare un check up al proprio network di conoscenze e di non farlo solo quando ci si trova in difficoltà, ma sempre tutti i giorni, perché è la prima fonte di opportunità, a tal proposito date una letta al post di Anna Martini http://bit.ly/ohh7oZ in cui vengono proprio affrontati questi temi in particolare con un occhio alle opportunità che oggi da il web 2.0.

Direttamente collegato allo sviluppo e cura del network personale c’è il crearsi una reputazione nei confronti del mercato e dei nostri contatti, fare del marketing di noi stessi, il cosiddetto Personal Branding (vi consiglio una visita al blog http://www.personalbranding.it/ di Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti dei veri e propri pionieri nel settore) perché oggi, sempre grazie al web, siamo noi i fautori del nostro futuro. Nel lontano 1997 Tom Peters scriveva un articolo dal titolo “The Brand Called You” ovvero “La marca chiamata Te” in cui diceva a chiare lettere che ognuno di noi è Presidente, Amministratore Delegato, Direttore Commerciale, Direttore Marketing  dell’azienda chiamata “Io Spa”, siamo noi stessi, attraverso la reputazione e credibilità che ci costruiamo nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, che determiniamo la qualità del nostro futuro.

Dimenticavo, come dice Centenaro “il personal branding è inevitabile” perché? Semplice ognuno di noi, quando conosce nuove persone, siano esse per lavoro che nella vita privata, lascia sempre una impressione e verrà etichettato in qualche modo, tanto vale “farsi etichettare” nel miglior modo possibile evitando di perdere delle opportunità; l’argomento è ampio, ci tornerò sopra nei prossimi post, approfondendo temi specifici.

Chiudo con un’ultima segnalazione, anch’essa forse banale ma di sicura efficacia, evitate curriculum in formato europeo, molti addetti alle risorse umane non li guardano neanche più: sono freddi, tutti uguali, non comunicano nulla di quello che sono le nostre reali esperienze, non è sicuramente uno strumento per incrementare il proprio Personal Brand.

Alla prossima

Outplacement: ammortizzatore sociale “attivo”

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Torno a voi con l’ultima parte del viaggio attraverso il mondo dell’Outplacement, con alcune mie considerazioni del tutto personali sull’evoluzione del servizio di outplacement, che dovrà sempre più entrare a far parte delle trattative tra le parti sociali, nei casi in cui sia previsto un forte ridimensionamento aziendale.

Evoluzione quindi, si perchè la crisi economica ha innescato molti processi di ridimensionamento aziendali, processi che le parti sociali hanno spesso e volentieri improntato solo sullo scontro e sul solo uso dei classici ammortizzatori sociali (Cassa Integrazione o CIG, Cassa Integrazione Straordinaria o CIGS, Mobiltà) che sono sacrosanti ma assolutamente passivi, perché le persone che ne usufruiscono non sono proattive verso il lavoro, ma attendono a casa che il peggio passi, augurandosi di essere reintegrati (nel caso della CIG e CIGS) o di essere assunti da una nuova azienda che potrà usufruire di sgravi contributivi (nel caso della mobilità).

Alla luce della situazione contingente di crisi ma anche con un occhio al futuro, l’outplacement può e deve essere valorizzato sempre più a fianco dei tradizionali ammortizzatori sociali. Un ammortizzatore sociale “attivo” vantaggioso non solo per aziende e lavoratori, ma anche per tutto il sistema economico, poiché riducendo i periodi di inattività e di indennizzo della disoccupazione, contribuisce ad aumentare la produttività aggregata di tutto il sistema paese.

Importante quindi che anche le organizzazioni sindacali prendano atto dell’importanza del servizio e lo facciano diventare parte integrante delle trattative sindacali, proprio perché è un supporto fondamentale per i lavoratori che essi stessi rappresentano. Occorre dire, a onor del vero, che qualcosa si muove in tal senso. Negli ultimi tempi si assiste a un aumento di verbali di contrattazione sindacale che prevedono anche il servizio di outplacement.

Anche le istituzioni pubbliche, chiamate spesso ad agire in deroga alle normative vigenti, hanno l’obbligo morale nei confronti dei cittadini di supportarli in un processo di reale reinserimento nel mondo del lavoro, cosa che può essere fatta attraverso lo stanziamento di fondi ad hoc per processi di ricollocamento.

In chiusura, mi viene in mente una frase che ho letto di recente del Cardinale Angelo Bagnasco: “Il lavoro è parte speciale di quelle condizioni indispensabili che una società veramente umana deve garantire perché ognuno possa non solo sopravvivere e vivere ma ancora di più realizzare se stesso secondo il disegno di Dio”.

Alla prossima.

Outplacement: contenuti del servizio

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Eccomi con la seconda parte del viaggio alla scoperta dell’outplacement; perchè ho messo George Clooney? Tranquilli non è per emulazione (semmai invidia) ma perchè l’immagine è tratta dal film “Tra le nuvole” in cui, tra le altre cose, si parla anche di outplacement; ma il motivo principale perchè ho inserito l’immagine è perchè sempre più spesso quando vado dai clienti a parlare del servizio mi capita di sentirmi dire “ma lei ha mai visto il fim con Clooney???” ed io giù a spiegare “si però il mio lavoro non è proprio uguale a quello del film” e via discorrendo, insomma è diventato praticamente un vero e proprio tormentone. 

In questo secondo post parlerò dei contenuti del servizio, molto importanti per capire come si sviluppa il percorso di ricollocamento. Occorre subito dire che l’elemento imprescindibile è l’assenso della/delle persona/e coinvolte nel processo; se il “candidato” (com’è definita la persona da ricollocare), pur avendo a disposizione il servizio offerto dall’azienda, in fase di trattativa di uscita decide di non usufruire del servizio di ricollocamento, lo stesso non può chiaramente essere fornito.

Troppo spesso nei lavoratori prevale la logica miope della sola buonuscita economica, che è premiante nel breve ma che è fine a se stessa. In momenti come quelli odierni, curare il miglioramento della propria occupabilità nel mercato del lavoro è molto più importante della sola buonuscita monetaria. Amo ricordare sempre che “trovare un lavoro è esso stesso un lavoro”; avere un supporto in tal senso è fondamentale, specialmente oggi.

Il servizio si sviluppa in tre macro-fasi:

1) La strutturazione di un vero e proprio bilancio delle competenze con l’aiuto di uno più consulenti la persona è portata ad analizzare in profondità la propria vita professionale, le competenze maturate, i punti di forza e le aree di miglioramento. È una fase estremamente importante in cui s’inizia, anche dal punto di vista psicologico, un delicato processo di ricostruzione dell’autostima della persona reduce dalla chiusura del rapporto di lavoro.

2) Immediata conseguenza del bilancio di competenze è la strutturazione di un profilo professionale e di conseguenza, del progetto professionale, un piano operativo che va ad analizzare i possibili punti d’incontro tra competenza maturate, aspirazioni professionali del lavoratore, opportunità che il mercato può offrire.

3) I percorsi individuati possono essere molteplici: per alcune persone può esservi una sorta di continuità sia dal punto di vista del rapporto di lavoro sia della mansione; per altri il percorso varia e può portare sia a mansioni in ambiti diversi sia a iniziative imprenditoriali o di consulenza.
– Nel caso in cui il percorso scelto sia quello del lavoro dipendente, viene attuata una vera e propria “road map” alla ricollocazione: i consulenti aiutano la persona a migliorare strumenti quali Curriculum Vitae e lettera di presentazione, intervengono sulle tecniche di comunicazione verbale per sostenere efficacemente un colloquio di lavoro, aiutano il lavoratore a identificare le aziende target e a prendere contatto con esse.
– Nel caso in cui il percorso scelto sia quello di una professione autonoma, i consulenti aiutano la persona a individuare il proprio mercato e settore di attività e offrono una consulenza operativa all’avviamento dell’attività in proprio.

Questo il percorso per sommi capi, mi auguro di essere stato sufficentemente chiaro nell’esposizione in caso contrario come dico sempre, scrivetemi sarò ben lieto di approfondire l’argomento.

Alla prossima!