Jobs Act

Articolo 18: falso mito su cui si decide il futuro di molti ma non dei lavoratori.

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L'articolo 18... un falso problema
L’articolo 18… un falso problema

Mi ero ripromesso di aspettare, di attendere cosa uscirà da questa bagarre in corso nel parlamento su questo benedetto “Jobs Act”, ma dopo le ultime uscite su stampa e telegiornali dei contendenti (governo, minoranza PD, sindacati, opposizione e via dicendo) francamente non riesco più a starmene zitto.

Lavoro nelle risorse umane ed in particolare mi occupo di ricollocamento professionale, quel famoso outplacement che potrebbe diventare obbligatorio se passeranno gli emendamenti sul contratto a tutele crescenti; questo significa che a me le balle non le raccontate.

Il dibattito in corso è francamente privo di senso, diciamocelo chiaro non serve l’articolo 18 per licenziare oggi i lavoratori; le condizioni economiche attuali unite alla recente Riforma Fornero danno già oggi alle aziende tutte le armi per poter mandare a casa i collaboratori con o senza articolo 18. Come? Semplice… su tutti c’è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che prevede in caso di motivi oggettivi appunto (basta che il fatturato dell’azienda sia calato ad esempio) il licenziamento del collaboratore e su questo l’articolo 18 non può proprio nulla. La procedura ideata dalla Fornero prevede che molto semplicemente venga comunicato il licenziamento al collaboratore con le ovvie motivazioni e che dopo pochi giorni si arrivi davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro per tentare la conciliazione, se questa non viene raggiunta si procede comunque con il licenziamento e si andrà in causa con il risultato che se, al massimo, venisse rilevato qualche vizio formale si arriverà ad un risarcimento tra le 12 e le 24 mensilità ma senza che scatti la reintegra, che scatta solo nel caso in cui ci fosse manifesta insussistenza. Risultato… il lavoratore è comunque fuori dall’azienda, al giorno d’oggi con le condizioni economiche attuali pensate sia difficile per un’azienda dimostrare di avere personale in esubero?

Capite bene quindi come l’articolo 18 sia un falso problema, a conferma di questo sarebbe interessante che ci venissero comunicati i dati relativi alle conciliazioni, vi assicuro che dall’entrata in vigore della Riforma Fornero sono aumentate a dismisura ma in pochi lo dicono (qualche mese fa ci fu un articolo del Sole 24 Ore che confermava questa mia affermazione) ma questo chi non è del settore non lo sa per cui crede ancora che l’articolo 18 sia un baluardo da difendere ad ogni costo e posso capirlo. Quello che non capisco è chi invece sa benissimo come stanno le cose ma continua a sventolare la bandiera dell’articolo 18 solo per interessi personali non dei lavoratori: parlo dei sindacati che conoscono bene la situazione reale (lo dimostra quanti posti di lavoro si sono persi dall’inizio della crisi ad oggi), lo sanno quelli della minoranza del PD che stanno solamente tentando con questa avversità a Renzi di recuperare consensi che hanno perso in anni di nullafacenza, lo sa lo stesso Renzi ed il governo così come tutta la classe politica; ecco perchè dico che su questa battaglia si decide il futuro di molti ma non dei lavoratori.

Sappiamo tutti cosa andrebbe fatto per rilanciare l’occupazione, l’abbassamento del cuneo fiscale per le aziende e richiamare così investitori esteri, facendo diventare l’Italia un paese nuovamente interessante in cui investire, unitamente ad una semplificazione della burocrazia, al termine della dualità tra lavoro pubblico (i veri protetti) e quello privato, al tornare a puntare sulla artigianalità tipica dell’Italia (pochi giorni fa alla settimana della moda a Milano la maison Gucci diceva “il vero lusso è l’artigianato”), al capire che il VERO “Made in Italy” è ancora il nostro fiore all’occhiello fuori dai nostri confini. Ma di questo non si parla o quando qualcuno prova a farlo ci si gira dall’altra parte facendo finta di non sentire riportando l’attenzione su un articolo 18 che oggi non esiste già più.

Alla prossima!!

JOBS ACT: la parola agli avvocati.

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La locandina dell'evento
La locandina dell’evento

Venerdì scorso Confindustria Pescara ha ospitato un incontro dal titolo “Dal Jobs Act alla conversione del Decreto Lavoro:  quali risposte alle esigenze di flessibilità delle aziende” tra i relatori l’Avv. Luca Failla di LABLAW, l’Avv. Andrea Bonanni Caione di LABLAW e il Dott. Pierluigi Rausei ADAPT Professional Fellow – Dirigente Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Obiettivo dell’incontro quello di dare il parere legale sulle nuove norme recentemente approvate con la conversione del Decreto Lavoro; fantastico notare che, come sempre accade in questi casi, la volontà iniziale del governo viene in buona parte sacrificata quando ci si imbatte nella scrittura tecnica della normativa. La complessità del diritto italiano, in cui una virgola messa in un posto piuttosto che in altro, cambia radicalmente l’interpretazione giuridica della norma, lascia sempre spazio a variazioni di intenti rispetto al contesto dal quale si parte.

Il Jobs Act non fa eccezioni in particolare nella normativa relativa al contratto a termine; la prima cosa da notare è di come sia stata completamente stravolta una parte della Riforma Fornero di pochissimo tempo fa; in quella riforma ricorderete come fu notevolmente rivista in senso restrittivo la flessibilità in entrata a fronte di una maggiore flessibilità in uscita e di come, seppur con un primo contratto a termine acausale di 12 mesi prorogabile all’interno dei 12 mesi, in realtà la causale rivestisse ancora una parte fondamentale del contratto a termine.

Con la nuova normativa di colpo spariscono le causali, per cui se prima il contratto a termine veniva utilizzato solo per il soddisfacimento di una prestazione professionale temporanea e non definitiva, oggi con la acausalità paradossalmente il contratto a termine può essere utilizzato anche in presenza di esigenze professionali stabili da parte dell’azienda. Infatti, paradossalmente, l’azienda può ogni 36 mesi (durata massima del contratto a termine comprensivo delle proroghe) cambiare lavoratore per la stesssa mansione, concludendo il contratto con uno per riattivarlo con un’altro. Non solo, il medesimo lavoratore una volta terminati i 36 mesi di contratto a termine acausale, può benissimo essere assunto con un nuovo contratto a termine nella medesima azienda, basta che non svolga mansioni equivalenti alla precedente. Quest’ultimo punto è già oggetto di discussioni e di denunce alla corte europea perchè violerebbe proprio una normativa europea in materia.

Il contenzioso quindi non viene eliminato ma si sposta da una parte ad un’altra, se prima il grosso del problema era rivolto alla specificità della causale, oggi sparendo quest’ultima ci si sposta su altre cose, come ad esempio sulle percentuali massime di lavoratori assumibili a tempo determinato. Sapete infatti che la normativa prevede per gli assunti a termine, il limite del 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza dal 1 gennaio dell’anno di assunzione, fatti salvi i limiti previsti dai contratti collettivi nazionali (a volte più bassi altri più alti). Il problema sollevato dagli avvocati di LABLAW sta nel fatto che non è così immediato capire come conteggiare i dipendenti a tempo indeterminato: ad esempio apprendisti, part-time, lavoratori intermittenti, dirigenti si contano nel computo o no? E se si come? (i part-time contano come mezza testa o come testa intera?)

Quello che LABLAW consiglia caldamente alle aziende è che, se si hanno necessità di personale a tempo determinato per lunghi periodi di tempo la strada da seguire è quella della somministrazione, primo perchè è anch’essa acausale, secondo perchè esula dalla normativa del contratto a termine, infatti nel limite del 20% dei contratti a termine non rientrano i somministrati il cui limite è imposto solo nei contratti collettivi nazionali, la limitazione temporale dei 36 mesi è un limite che riguarda il contratto non il rapporto e come sapete nella somministrazione il contratto di lavoro è tra lavoratore e società di somministrazione non direttamente con l’azienda utilizzatrice che ha un contratto commerciale con la società di somministrazione. In parole povere il legislatore dice chiaramente che le esigenze strutturali di flessibilità delle aziende vanno gestite tramite somministrazione.

Questi gli spunti di maggiore interesse emersi dall’incontro di venerdì, personalmente rimango fermamente convinto che la strada da percorrere sia un’altra quella che ho proposto nel post “una riforma del lavoro possibile“, inutile che ogni due per tre ci inventiamo mezze riforme, occorre prendere una decisione vera e fare quel passo che ci portarà veramente al nuovo.

Alla prossima!!

 

Decreto Lavoro parte seconda: cosa è stato approvato alla Camera.

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Il Ministro Poletti
Il Ministro Poletti

Ritorno sul decreto legge n°34/2014, un paio di settimane fa avevo fatto un riassunto di quanto raccoglieva il decreto, come sapete il 24 aprile il testo ha passato l’approvazione della Camera grazie al voto di fiducia, primo step per diventare legge dello Stato, dopo che il testo è stato passato al setaccio dalla commissione lavoro della Camera che ha apportato alcune modiche che non sono piaciute ad alcune parti della maggioranza.

Ora il testo andrà al Senato e si prevedono nuove battaglie e possibili modifiche visto che il NCD e Scelta Civica hanno intenzione di dare battaglia, visto che in questo caso sembra che i numeri lo permettano, per riportare il testo al modello originale del decreto.

Vediamo in sostanza cosa cambia:

1) La acasualità dei contratti a termine passa dai 12 mesi attuali ai 36 mesi, ovvero si fa coincidere la mancanza di causale con la durata massima del contratto a termine.

2) Le proroghe scendono dalle 8 del decreto a 5 massime nell’arco dei 36 mesi.

3) Viene messo un tetto massimo alla possibilità di utilizzare i contratti a termine, il tetto è del 20% del totale della forza lavoro assunta a tempo indeterminato al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Per chi ha massimo 5 dipendenti è concesso un solo contratto a termine.

4) Per le donne in congedo di maternità durante un contratto a termine, il periodo di congedo concorre a determinare il periodo utile per ottenere il diritto di precedenza nel caso di assunzioni. Questo diritto di precedenza dovrà essere comunicato per iscritto al lavoratore al momento dell’assunzione.

5) Viene introdotto l’obbligo di monitoraggio da parte del Ministro, sull’andamento del decreto una volta trasformato in legge, infatti dopo 12 mesi dall’entrata in vigore il Ministro dovrà presentare una relazione approfondita in parlamento circa gli effetti della legge.

6) Viene reintrodotto l’obbligo della presentazione del piano formativo scritto per gli assunti in regime di apprendistato.

7) Viene reintrodotto il vincolo di assunzione a tempo indeterminato di almeno il 20% degli apprendisti, vincolo valido per le aziende che hanno almeno 30 dipendenti.

8) Viene reintrodotto l’obbligo della formazione regionale per gli apprendisti.

9) Viene abolito il DURC che era il documento che attestava la regolarità degli adempimenti INPS, INAIL, sostituito da una verifica online.

Questo per sommi capi i cambiamenti al testo del decreto usciti dopo l’approvazione della Camera, c’è da scommettere che le modifiche non finiranno qui visto il passaggio in Senato di cui parlavo all’inizio. Francamente mi sembra il solito balletto di annunci scoppiettanti e precipitose marce indietro, non dico altro per il momento, quello che mi piace è che sia previsto per legge un monitoraggio dettagliato sugli effetti del decreto una volta tramutato in legge, sarà così possibile verificare se ci saranno effettivamente benefici da quanto disposto o se si tratta dalla solita bolla di sapone.

Alla prossima!!

Una riforma del lavoro possibile?

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Rendersi attivi nel mercato del lavoro
Rendersi attivi nel mercato del lavoro

Nel mio ultimo post ho pubblicato un sunto del Jobs Act del Governo Renzi, riassunto privo di ogni commento personale proprio per cercare di dare una notizia. Oggi voglio essere più opinionista e dire il mio parere in merito al documento del Governo e lanciare una mia personale idea di riforma del mercato del lavoro; sia chiaro… non sono nessuno, ma in questi anni di lavoro a contatto con le risorse umane ho sviluppato un mio pensiero, certamente folle ma che risolverebbe alla radice una miriade di problemi, almeno credo.

Partiamo dal contenuto del Jobs Act, premetto che come AIDP Marche martedì scorso abbiamo avuto come ospite il Prof. Michele Tiraboschi che ha dato la sua opinione sul decreto legge n°34/2014, ne esce un quadro devastante in primis perchè c’è un forte rischio contenzioso in quanto il decreto sembrerebbe andare contro la direttiva europea n°99/70 che prevede si un primo contratto a termine libero, ma impone una disciplina limitativa per proroghe e rinnovi (vedi il sito  del Prof. Pietro Ichino). In secondo luogo perchè questo provvedimento suona tanto come un “abbiamo promesso cambiamento, facciamo qualcosa in fretta e furia che dimostri che vogliamo cambiare”, peccato che quando le cose si fanno in fretta e furia, in un Paese complicatissimo da un punto di vista legislativo come l’Italia, si rischia fortemente di fare più danni che altro; anche in questo caso la liberalizzazione selvaggia del tempo determinato sembra andare nel senso di un voler dimostrare senza costrutto, Tiraboschi da esperto giuslavorista ci ha anche fatto notare che, nella fretta di fare qualcosa, si è modificata una parte della normativa lasciando però inalterata (una svista?) tutta la parte che regola il regime sanzionatorio della norma modificata che andrebbe in aperto contrasto con questo nuovo decreto.

Sapete bene come sia un sostenitore della flessibilità e come da sempre cerchi di far capire che le cose sono cambiate e che nulla tornerà come prima, in questa situazione apprezzo gli sforzi di Renzi di voler accelerare il cambiamento sino ad oggi ventilato da tutti ma mai realmente attuato, occorre però fare le cose con la giusta modalità, avvalendosi del supporto magari di esperti giuslavoristi come Tiraboschi ed Ichino ad esempio.

Io non sono certamente un gisulavorista e men che meno ho la pretesa di dire verità assolute, mi sono però fatto un’idea di una possibile riforma che cambierebbe veramente le cose alla radice e semplificherebbe di gran lunga la normativa olre a ridurre i rischi di contenzioso ed elimarebbe in un sol colpo la parola “precariato”, cancellando di fatto la dualità oggi in atto tra iperprotetti (chi è in regime di tempo indeterminato) e svantaggiati (tutto il resto dei lavoratori dipendenti). Sono idee che mi sono venute studiando le proposte di flexsecurity di Ichino, ascoltando il Prof. Tiraboschi oltre che leggendo e documentandomi su stampa e internet.

In pochi punti ecco la mia idea:

  1. Eliminazione di tutti i CCNL attualmente in atto, istituendone uno solo valido per tutti. (Semplificazione delle trattive sindacali, via tutte le sottosigle e trattativa unica di rinnovo e manutenzione del contratto)
  2. Eliminazione di tutti i tipi di contratti attualmente disponibili: apprendistato, tempo determinato, stage, ecc. istituendo il contratto a tempo indeterminato come unica possibilità di assunzione. (La parola precariato sparisce e con essa le miriadi di polemiche)
  3. Flessibilità massima in uscita, fatti salvi i casi di discriminazione, con obbligo da parte del datore di lavoro di dare un indennizzo sulla base dell’anzianità di servizio e pagare il servzio di ricollocamento per il collaboratore con cui si termina il rapporto di lavoro. ASPI chiaramente per tutti a calare, massima all’inizio minima al termine (eliminiamo la stragrande maggioranza dei contenziosi e finalmente si attuano politiche attive del lavoro, si rendono le persone attive non passive, eliminiamo il sommerso).
  4. Drastico abbattimento del cuneo fiscale (tornare a rendere l’Italia appetibile e concorrenziale)
  5. Conseguenza di quanto sopra semplificazione drastica del codice del lavoro.
  6. Si crea un mercato del lavoro attivo e non stantio, dove le aziende veramente metteranno al centro la Risorsa Umana, perchè saranno obbligate a rendersi effettivamente appetibili per i lavoratori (politiche reali di employer branding); se da un lato sarà possibile sganciarsi dai parassiti (ogni azienda ne ha un certo numero al suo interno lo sappiamo tutti), dall’altro questa facilità e circolarità del mercato del lavoro farà si che le professionalità migliori se non troveranno terreno fertile e programmi di sviluppo seri, abbandoneranno il posto di lavoro verso lidi migliori che sapranno attirare i cosiddetti talenti (diciamolo chiaro oggi collaboratori in gamba rimangono anche se insoddisfatti in azienda perchè hanno paura che mollando difficilmente rientreranno nel mercato del lavoro, facilitando di fatto il lavoro dell’azienda dove l’attenzione alla risorsa è ancora molto scarsa ed in alcuni casi solamente di facciata).

Probabilmente la mia idea verrà interpretata come folle dalla maggior parte di voi, forse lo è anche e sicuramente i 5 punti che ho scritto vanno declinati ed analizzati bene nel profondo sono spunti che mi sono venuti di getto, credo però che se il Paese si muovesse in questa direzione le cose migliorerebbero per tutti lavoratori ed imprese ed il sistema economico tornerebbe a crescere. Al 99% non si farà mai una cosa del genere, troppi gli interessi di bottega che verrebbero colpiti: sindacati, confindustria, istituzioni, ordini professionali…. ecc.; rimane il fatto che voglio comunque credere in un avvenire positivo e ricordo da buon coach che il nostro futuro siamo noi a costruircelo con le nostre azioni e la nostra determinazione, eliminiamo dal vocabolario parole come: speranza, attesa, dubbio, rimandare sono termini passivi che ci hanno portato esattamente dove ci troviamo oggi.

Alla prossima!!

Jobs Act: in sostanza cosa dice?

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jobsactCome sapete il 21 Marzo 2014 è entrato in vigore il decreto legge n°34/2014 che riguarda “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” altrimenti conosciuto come il famoso “Jobs Act” del neo Governo Renzi.

In questa sede voglio asternermi da qualsiasi personale commento circa le disposizioni apporvate, quello che voglio fare è cercare di darvi informazioni il più possibile asettiche circa i contenuti del decreto e per farlo ho pensato di pubblicare un riassunto, che la società per cui opero, ha redatto in modo da fare chiarezza sulle principali novità inserite.

Decreto Legge n. 34 del 20 marzo 2014 “JOB ACT” in vigore dal 21 marzo 2014

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2014 il Decreto Legge n. 34 del 20 marzo 2014 (Job Act) recante “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”. Il Decreto Legge è in vigore dal 21 marzo 2014 e di seguito si illustrano, in sintesi, le principali novità.

CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Acausalità

La durata del contratto di lavoro a tempo determinato, per il quale non è necessaria l’indicazione di una causale giustificativa, viene portata da 12 a 36 mesi, comprensivi di eventuali proroghe, per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato che nell’ambito di un contratto di somministrazione a termine stipulato ai sensi dell’art. 20, comma 4 del D.Lgs n. 276/2003 e ss.i.m.

Nello specifico il comma 1 dell’art. art. 1 del D.Lgs n. 368/2001 secondo cui il ricorso al contratto a tempo determinato era ammesso “(…) a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro (…)” è stato sostituito dall’art. 1 comma 1 lett. a n. 1 del DL n. 34/2014. Pertanto l’attuale formulazione è la seguente “È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Il comma 1‐bis dell’articolo 1 del D.Lgs n. 368/2001, contenente le previsioni di non necessarietà dell’indicazione delle ragioni giustificative di apposizione del termine è stato abrogato. Resta confermato il principio secondo cui l’apposizione del termine è da considerarsi priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto.

Proroghe

La proroga del contratto a termine non è più consentita per una sola volta ed a condizione della sussistenza di ragioni oggettive. Tale presupposto non è più richiesto e, fermo restando il consenso del lavoratore e la durata iniziale del contratto inferiore a tre anni, sono ammesse proroghe fino ad un massimo di otto volte, nel limite dei 36 mesi. Unica condizione è che tali proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto a termine è stato stipulato.

Limiti quantitativi

Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1, comma 1 lett. a n. 1 del D.L. 34/2014, nelle imprese con più di 5 dipendenti, il numero totale di rapporti di lavoro a termine instaurati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% dell’organico complessivo presente nell’azienda. Restano ferme le disposizioni di cui all’art. 10 comma 7 del D.lgs 368/2001. Per le imprese che occupano fino a 5 dipendenti è comunque ammessa la stipula di un contratto di lavoro a termine.

CONTRATTO DI APPRENDISTATO

Piano Formativo Individuale

La forma scritta è prevista esclusivamente per il contratto e per il patto di prova. Prima dell’entrata in vigore del D.L. 34/2014 la forma scritta era obbligatoria anche per il Piano formativo individuale che doveva essere definito, anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto.

Obbligo di conferma

Il D.L. n. 34/2014 abroga l’obbligo, in capo ai datori di lavoro con più di 9 dipendenti, di conferma di almeno il 50% degli apprendisti assunti nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, (percentuale ridotta al 30% nel periodo intercorrente dal 18 luglio 2012 al 17 luglio 2015) per poter procedere a nuove assunzioni di apprendisti.

Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale

All’art. 3 del D.lgs 167/2011, che disciplina l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale è stato aggiunto il comma 2‐ter che consente, fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, di riconoscere al lavoratore una retribuzione che tenga conto delle ore di lavoro effettivamente prestate nonché delle ore di formazione nella misura del 35% del relativo monte ore complessivo.

Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere: formazione base e trasversale

Ai sensi dell’ art. 4, comma 3 del D.lgs 167/2011, così come novellato dal D.L. 34/2014, la formazione di tipo professionalizzante può essere integrata nei limiti delle risorse annualmente disponibili, dalla offerta formativa pubblica, interna o esterna all’azienda, finalizzata all’acquisizione di competenze di base e trasversali. Nel testo previgente la formazione di base o trasversale era obbligatoria.

SERVIZI PER IL LAVORO

Elenco anagrafico dei servizi alle persone in cerca di lavoro

Si applica non solo ai cittadini italiani ma anche ai comunitari e agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, la norma che prevede, per chi intende avvalersi dei servizi per l’impiego, di essere inseriti in un apposito elenco anagrafico, a prescindere dl luogo di residenza. All’art. 4 del DPR 7 luglio 2000, n. 442 (Elenco anagrafico dei servizi alle persone in cerca di lavoro) le parole “Le persone” sono sostituite dalle seguenti: “I cittadini italiani, comunitari e stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.”

Stato di disoccupazione

Il D.Lgs n. 181/2000 prevede che lo stato di disoccupato sia comprovato dalla presentazione dell’interessato presso Centro per l’Impiego competente ovvero nel cui ambito territoriale si trovi il domicilio dello stesso. L’art. 2, comma 1 del D.Lgs n. 181/2000, così come novellato dal D.L. n. 34/2014, stabilisce che in tal senso è competente il servizio di qualsiasi ambito territoriale dello Stato.

SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI DURC

E’ istituito un nuovo sistema di verifica della regolarità contributiva con modalità telematiche, in tempo reale, nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, per le imprese edili, delle Casse edili. L’esito della verifica ha validità di 120 giorni dalla data di acquisizione e sostituisce ad ogni effetto il Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC). Tuttavia, l’effettiva operatività del nuovo sistema è, subordinata all’emanazione di un decreto interministeriale da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. 34/2014.

CONTRATTI DI SOLIDARIETA’

Si prevede che con decreto interministeriale (Lavoro ed Economia) siano fissati i criteri per individuare le aziende aventi diritto allo sgravio contributivo per i contratti di solidarietà. Il predetto beneficio contributivo (art. 6, comma 4, DL n. 510/1996 convertito dalla Legge n. 608/1996) consiste nella riduzione per tutta la durata del contratto, con un limite massimo di 24 mesi, dei contributi dovuti per le ore lavorate da ciascun lavoratore interessato al contratto di solidarietà, pari al 25% se la riduzione di orario è compresa tra il 20% ed il 30% dell’orario contrattuale. 35% per riduzioni di orario superiori al 30%.

 

Concludo solo con una nota personale che però credo sia fondamentale: il DL 34/2014 sta seguendo l’iter parlamentare di conversione in legge, entro 60gg dalla pubblicazione potrà pertanto essere suscettibile di modifiche; consiglio VIVAMENTE di tenere in considerazione le vecchie norme sino a quando il decreto non diventi legge effettiva dello Stato onde evitare brutte sorprese.

Alla prossima!!