Mese: ottobre 2013

Manager allo specchio

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Che fare?
Che fare?

Nelle ultime settimane sono stato ospite di due incontri organizzati dalle due federazioni di riferimento in Italia per i manager, il primo è stato organizzato da Federmanager Ancona e Pesaro, la federazione che raccoglie i dirigenti e le alte professionalità del settore industriale, l’altro da ManagerItalia Ancona, la federazione dei dirigenti e alte professionalità delle imprese del terziario.

Questi incontri uniti alla mia professione di consulente di outplacement e di coach professionista, mi hanno portato a trattare un’argomento di estrema attualità: il disorientamento che sta attraversando la classe dirigente italiana.

La crisi economica globale ha stravolto il mercato del lavoro, quello che era vero sino a ieri oggi non lo è più. Il CAMBIAMENTO è avvenuto in modo repentino e sicuramente inaspettato cogliendo tutti di sorpresa; nel 7 rapporto della classe dirigente Delai riporta “..le nostre mappe mentali risultano ormai scadute e quindi risultato del tutto inadeguate se si vogliono interpretare i mutamenti in corso e se si vuole orientare la nostra futura crescita.”

In definitiva occorre CAMBIARE, l’ho fatto presente ormai tante volte anche in questo blog; lo tsunami della crisi è costato la perdita di molti posti di lavoro ed in questo senso, sapete bene come i manager siano i primi a pagare perché non coperti da alcun ammortizzatore sociale.

Crisi, Perdita dei posti di lavoro, Cambiamento… tutti insieme hanno creato un forte senso si smarrimento tra i manager, c’è una forte necessità di ritrovare la strada giusta da percorrere. In questo senso, sempre nel 7 rapporto della classe dirigente il Presidente di Fondirigenti Cuselli scrive con parole che io trovo illuminanti il seguente passaggio «La miopia è il tratto che descrive, in modo allarmante, l’approccio e i comportamenti di buona parte della nostra classe dirigente in quest’ennesimo anno di crisi; nelle azioni della nostre classi dirigenti la “responsabilità” è la grande assente, si preferisce il modello autoritario della deresponsabilizzazione senza rendersi conto che il potere senza responsabilità è segno distintivo della tirannide, non della democrazia.»

La classe dirigente deve ritrovare autorevolezza e non nascondersi ed autoreferenziarsi dietro l’autorità, un passaggio che può essere fatto solo attraverso una diretta assunzione di RESPONSABILITA’. Dicevamo quindi responsabilità, che va messa in atto in tutti i settori anche quando si deve affrontare il cambiamento che, come abbiamo visto, nel mercato del lavoro è stato repentino. Uscire quindi dal torpore, riprendersi dall’uno-due devastante della crisi, uscire dalle corde e reagire!! Come?

Occorre ricrearsi la propria impiegabilità (ne parlavo due settimane fa); il manager deve per prima cosa fermarsi un attimo e riflettere, porsi domande come: CHI SONO? Ovvero professionalmente dove sono arrivato? Qual è il mio background di competenze? Capire A CHE PUNTO SONO? Quindi chiedersi se le competenze attualmente acquisite possono essere sufficienti per far fronte alle nuove sfide professionali. Quali sono i miei sogni professionali ovvero DOVE VOGLIO ANDARE? Stabiliti gli obiettivi professionali, devo capire quale sia la strada migliore per raggiungerli, chiedersi quindi QUALE STRADA DEVO PERCORRERE? In ultimo capire COME SUPERARE GLI OSTACOLI che con molta probabilità si pareranno davanti. In questo contesto un coach professinista può essere una valida spalla al manager per aiutarlo a diradare le nebbie che gli si sono parate davanti in questi anni di crisi.

Con il Coaching infatti è possibile intraprendere un percorso di analisi dei propri obiettivi professionali e di sviluppo delle proprie potenzialità, individuando quello che fa maggiormente al caso del manager, stabilendo un piano d’azione, una sorta di road map, che consenta il raggiungimento del suddetto obiettivo; verificando di volta in volta il modo in cui affrontare gli ostacoli che si potrebbero parare davanti nel percorrere la strada.

Un percorso, quello fatto con un coach, che consentirà al manager di aumenatre la propria autoconsapevolezza e di conseguenza favorirà la responsabilizzazione dello stesso nel perseguimento degli obiettivi prefissi.

Alla prossima!!

ADRIANO OLIVETTI: riscopriamo le sue parole.

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La copertina del libro
La copertina del libro

Nel weekend mi sono dedicato alla lettura di uno dei cinque libriccini editi da Edizioni di Comunità, in cui vengono riportati altrettanti scritti significativi di Adriano Olivetti. Il libro in questione si intitola Ai Lavoratori e riporta due discorsi fatti da Olivetti nel 1954 e 1955 ai lavoratori di Pozzuoli e di Ivrea.

Ho deciso di approfondire la conoscenza delle parole dell’industriale piemontese perché le ritengo ancora attualissime; inoltre la RAI il 28 ed il 29 Ottobre , manderà in onda una fiction sull’Ingegnere di Ivrea. Non ultimo da anconetano non potevo esimermi dal farlo visto che proprio ad Ancona c’è la sede dell’ISTAO Istituto Adriano Olivetti, business school di elevata qualità fondata nel 1967 dal Prof. Giorgio Fuà grazie all’impulso della Fondazione Olivetti.

Come dicevo ho notato immediatamente l’estrema attualità delle parole di Olivetti, parole che sia come contenuti che come momento storico in cui vennero pronunciate, possono tranquillamente essere sovrapposte ai nostri giorni.

Erano giorni in cui la disoccupazione era elevata, dove la differenza tra una impresa di successo ed una che invece chiudeva, era l’elevato tasso di innovazione; esattamente la stessa situazione odierna.

Quello che balza agli occhi però è l’elevato senso di responsabilità sociale di Olivetti come imprenditore che deve tanto ai lavoratori ed al territorio e che con loro si sente in debito tanto da voler restituire il più possibile in termini di sicurezza del posto di lavoro, sviluppo dell’azienda, cura dell’ambiente, etica del lavoro e forte senso di responsabilità.

L’occupazione creata dalla sue fabbriche è la prima cosa che Olivetti vuole salvaguardare, tanto da riportare fedelmente le parole del padre “La disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligga la classe operaia“; quello che emerge da questa preoccupazione lo si vede nell’elevato tasso d’innovazione dei prodotti, insieme ad un costante miglioramento ed evoluzione tecnico-organizzativa degli stabilimenti.

Mi ha colpito come credesse talmente tanto in questo da voler fare sostanziosi investimenti in ricerca e sviluppo tanto che a metà degli anni ’50 gli addetti alla R&S erano circa il 10% della forza lavoro complessiva. L’altra cosa su cui puntava molto era la forza commerciale tanto che in uno dei discorsi afferma “Il segreto del nostro futuro è fondato, dunque, sul dinamismo dell’organizzazione commerciale e del suo rendimento economico, sul sistema dei prezzi, sulla modernità dei macchinari e dei metodi, ma soprattutto sulla partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda“.

Parole illuminanti che dovrebbero essere rilette non solo da Confindustria ma anche dalle Organizzazioni Sindacali, perchè oggi come allora occorre “creare un’impresa di tipo nuovo al di là del socialismo e del capitalismo giacchè i tempi avvertono con urgenza che nelle forme estreme in cui i due termini della questione sociale sono posti, l’uno contro l’altro, non riescono a risolvere i problemi dell’uomo e della società moderna“.

Oggi come allora vale l’assunto che occorre “persuadere una clientela diffidente della bontà del prodotto italiano, garantire l’efficienza del personale, assicurare ovunque un servizio di assistenza tecnica” e che “..questa lotta non avrà mai fine, poichè la concorrenza, le invenzioni, i perfezionamenti non hanno limiti e dovremo, sotto questo riguardo, non dar mai segni di stanchezza, alimentando di nuove forze teniche i nostri laboratori di ricerche, i nostri centri studi“.

Le parole virgolettate non sono parole mie ma sono esattamente le parole estrapolate dai discorsi di Olivetti pronunciate tra il 1954 ed il 1955, eppure nel 2013 potrebbero essere le parole da cui trarre fatti concreti per uscire dal tunnel della crisi. Credo quindi che rileggerle faccia bene a tutti, soprattutto a chi è a capo di un’azienda, a chi ci governa, alle parti sociali e ultimi ma non ultimi, anche ai lavoratori; ecco perchè mi sento di suggerire la letture di questi libriccini e di dedicare queste due serate alla visione della fiction su RAI UNO.

Alla prossima!

Costruitevi la vostra impiegabilità

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Costruirsi la propria impiegabilità
Costruirsi la propria impiegabilità

Dopo aver fatto riferimento alla necessità di attivare reali politiche attive del lavoro, questa volta voglio scendere direttamente sul campo parlando di come costruirsi la propria impiegabilità.

Il tema è di pubblica utilità ma chiaramente diventa preponderante per chi, in questo momento, si trova preso tra gli ingranaggi della crisi e quindi senza lavoro e per tutti coloro che, stanchi dell’assistenzialismo fine a se stesso, decidono di tirarsi su le maniche e di darsi da fare per trovare nuove opportunità di lavoro.

Per rimettersi sul mercato del lavoro non si può prescindere dal fare un’analisi approfondita ed onesta della propria situazione professionale, ciò significa domandarsi: chi sono professionalmente? Quali sono le mie competenze? In quali aree ho accumulato una forte esperienza? Da questa analisi emergerà una vostra fotografia professionale attuale.

Il secondo step è quello di stabilire i propri obiettivi professionali: dove volete andare a parare? Qual’è il vostro tipo di lavoro ideale? Quale area geografica vi interessa?

Una volta fissati gli obiettivi, riprendete in mano la vostra fotografia professionale e domandatevi: ho tutte le competenze per poter soddisfare il mio sogno? Si? Molto bene, tra poco vedremo come procedere; se la risposta è no occorre verificare come e se sia possibile colmare il gap formativo. In questo caso analizzate quali possano essere i corsi di formazione di vostro interesse, scegliete quello che per contenuti fa maggiormente al caso vostro ed investite in formazione. Spendere soldi per un corso che vi consenta di aumentare le vostre competenze, non è mai un investimento vano.

Mettete in atto politiche di Personal Branding, aumentate la vostra presenza sui social network, come spesso ho sottolineato in questo blog, concentratevi su quelli maggiormente efficaci per far conoscere il vostro brand, su tutti: Linkedin, Facebook, Twitter e se siete appassionati di scrittura anche un bel blog ricco di contenuti utili. In questa sede non mi fermerò ad analizzare ogni singolo social, basta che andiate a ritroso nei post e troverete alcuni approfondimenti, in alternativa visitate il sito dei ragazzi di Sestyle.

Non dimenticatevi di coltivare sempre il vostro network personale, è dimostrato che la maggior parte delle opportunità di lavoro scaturiscono proprio da una accurata cura dei propri contatti.

L’altro canale è quello definito “in chiaro” ovvero quello che ufficialmente è visibile a tutti; verificate quello che il mercato offre e candidatevi alla opportunità che trovate maggiormente interessanti per voi. Consiglio: non inviate mai e poi mai curriculum ad indirizzi email generici quali “info@…..” e via dicendo, equivale a gettare alle ortiche la vostra professionalità, non arriverà mai sulla scrivania della persona interessata. Cercate sempre un referente a cui indirizzare il cv, la mail del referente di norma è facilmente trovabile, basta ingegnarsi un pò e la rete ci premia.

E poi??? Perseverare, perseverare, perseverare; credete in voi stessi e nelle vostre capacità, non sarà una passeggiata, sappiate che cercare lavoro è un lavoro.

In ultimo, non sottovalutate la via della autoimprenditorialità, questo è particolarmente vero per figure medio alte come quadri e dirigenti che possono avere questo tipo di collocazione in determinate aree geogriche.

Se nel percorso, vi accorgete che la strada che avete tracciato non è quella corretta, meglio tornare a verificare gli obiettivi dopo di che, rimettersi all’opera con ancora più rigore di prima.

Chiudo con un ultimissimo consiglio: se vi bloccate e temete di non riuscire, chiedete aiuto ad un coach professionista (associazioni di riferimento ICF Italia ed AICP), vi supporterà nello sviluppo della propria autoconsapevolezza e potenzialità, permettendovi di affrontare con sempre maggiore responsabilità, il percorso che vi porterà al raggiungimento dei vostri obiettivi.

Ricordate sempre le parole di Goethe “Qualsiasi cosa sognate di poter fare, iniziatela”.

Alla prossima!!

Politiche attive del lavoro: è ora di muoversi!

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Rendersi attivi nel mercato del lavoro
Rendersi attivi nel mercato del lavoro

Torno dopo qualche tempo su un argomento a cui tengo molto, ovvero l’implementazione di politiche attive reali del lavoro. In questi giorni mi trovo nel mezzo di alcune trattative che risaltano sulla stampa nazionale e che sono state spunto per alcune rifelssioni che vorrei condividiere.

In Italia ci sono diverse situazioni paradossali, dove l’uso improprio degli ammortizzatori sociali ha creato vere e proprie situazioni di assistenzialismo puro e posso pensare anche di incremento di economia sommersa, senza alcuna possibilità di rientro in azienda perchè gli esuberi sono diventati ormai strutturali. Casi di cui però nessuno vuole occuparsi, se fate una ricerca sul web troverete molti dati relativi al monte ore di cassa che sono state richieste dalle aziende suddivise tra CIGO (ordinaria) CIGS (straordinaria), CIGD (deroga) ma poco o nulla relativamente a quali aziende sono destinate queste ore e da quanto tempo ne usufruiscono.

Gli unici dati che, tra le righe, raccontano la realtà della situazione si trovano all’interno del “Rapporto Annuale 2013” dell’ISTAT che a pagina 106 riporta testualmente: “..si sta allungando la durata dei periodi di CIG e sta diventando più probabile la transizione verso la disoccupazione.“, seguono i dati percentuali. In quella frase è raccolta la verità che le parti sociali ignorano o fanno finta di ignorare ovvero un utilizzo di massa degli ammortizzatori sociali anche quando già all’inzio della trattativa è chiaro a tutti che si tratta non di “temporanea sospensione” della attività lavorativa ma di veri e propri esuberi per l’azienda.

Gli ammortizzatori sociali sono sacrosanti e sono nati con scopi ben specifici come riporta la legge, il problema è che si stanno snaturando, vengono utlizzati in modo improprio per mascherare situazioni di ben altra tipologia. Certo spesso questo avviene per cercare di fare il bene di coloro che altrimenti rimarrebbero senza lavoro, sta di fatto però che queste situazioni hanno partorito mostri di assistenzialismo che non fanno il bene ne del Paese ma neanche degli stessi lavoratori coinvolti.

Ci sono storie in giro per l’Italia di aziende che usufruiscono di cassa integrazione a zero ore (che per i non addetti ai lavori significa rimanere in forza all’azienda pur restando a casa e non lavorando neanche un minuto prendendo l’80% dello stipendio) da più di 10 anni, con il risultato di avere persone che sono “fuori dal mercato del lavoro” da tutto questo tempo; capite bene come in un mondo che cambia sempre più velocemente, la professionalità di queste persone sia ormai persa. Non solo, quando all’inizio parlavo di incremento dell’economia sommersa intendevo dire che spesso a queste situazioni si associano episodi di persone che pur permanendo in cassa integrazione lavorano in nero (l’ultimo caso in ordine di tempo lo trovate qui).

Emerge chiaro il fatto che queste sono politiche statiche del lavoro, fino a quando le persone sono in carico all’azienda nessuno si attiverà mai per cercare nuove opportunità, con il risultato di rimanere passivamente in attesa di cambiamenti che non avverranno mai (si veda quanto riportato dall’ISTAT sopra); per il bene di tutti, occorre dare un’incremento sostanzioso alle politiche attive del lavoro, attraverso tutte quelle attività che rendano il lavoratore “attivo” nei confronti del mercato del lavoro, che permettano allo stesso di aumentare la propria impiegabilità verso nuove attività professionali. In questo le istituzioni potrebbero fare tanto, usufruendo anche di fondi che l’Unione Europea mette a disposizione ma che troppo spesso rimangono inutilizzati, ma anche le aziende potrebbero mettere sul tavolo incentivi economici funzionali alla messa in opera di queste attività.

Questo appello deve essere raccolto da tutti gli attori del mondo del lavoro: dallo Stato per un miglioramento dei conti pubblici, dalle parti sociali per un miglioramento della competitività delle aziende da un lato e per dare nuove possibilità ai lavoratori, dalle aziende per dimostare vera responsabilità sociale nei confronti dei propri lavoratori da cui si è costretti a separarsi, dai lavoratori stessi in modo che comprendano che è meglio trovare un’altro posto di lavoro piuttosto che languire, pur assistiti, in casa rimandando un problema che prima o poi chiederà il conto.

Utopia? Io credo proprio di no.

Alla prossima!!