Mese: aprile 2012

Il 1° Maggio ai tempi della crisi

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Immagine presa da WikipediaHo meditato molto se scrivere o meno questo post, gli argomenti di cui tratto nel blog sono liberamente tratti dalla ispirazione del momento; alcune volte sono scritti di pancia, altre volte di testa.

Scrivere della festività del 1° Maggio in un momento come quello attuale di straordinaria difficoltà per il mondo del lavoro, può facilmente essere male interpretato e far cadere in derive politiche che, dico subito, non mi appartengono. Il mio vuole essere un punto di vista neutro ed apolitico, un mio pensiero di operatore delle Risorse Umane, nato dalla lettura della storia della festa dei lavoratori (vedi sito La Repubblica e Wikipedia).

La festività del 1° Maggio nasce nel lontano 20 luglio 1889 a Parigi, su un’idea scaturita dal congresso della Seconda Internazionale, riunito in quel periodo nella capitale francese; scopo principale quello di organizzare, in una data unica in tutto il mondo, una manifestazione in cui chiedere alle autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa ad otto ore.

Nel corso degli anni la festività cambia di significato, grazie anche alle numerose conquiste sindacali ottenute che ne hanno depotenziato lo spirito di protesta,  sino a giungere ai giorni nostri in cui è diventata giustamente un momento più che altro ludico, lo dimostra lo stesso grande concerto rock organizzato da CGIL CISL e UIL a Roma.

C’è però un passaggio nella storia del 1° Maggio che mi ha particolarmente stimolato il post, ed quello associato ai “moti per il pane” culminati con la repressione di Milano. In quel tempo riporta testualmente Wikipedia “la situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa fu l’aumento di costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti agrari”.

La lettura di questa frase mi ha folgorato ed ha aperto in me una serie di similitudini con la situazione attuale; a causa della crisi oggi il mondo intero, ma in particolare noi Italiani, ci troviamo a combattere con una situazione simile: malcontento generalizzato, disoccupazione a livelli record, salari che hanno perso il loro potere di acquisto ed un aumento della tassazione oltre ogni limite consentito. Fortunatamente oggi non abbiamo più il generale Fiorenzo Bava Beccaris che represse duramente la protesta del 1898, ma al suo posto abbiamo un nemico infido e ancor più pericoloso perchè invisibile, la depressione. Nel 1898 sappiamo bene ci furono vittime a causa degli scontri, dal 2008 ad oggi ne abbiamo avuti tanti di più, solo nel 2010 si sono registrati ben 362 suicidi tra la popolazione colpita dalla crisi con un balzo in avanti del 45,5% tra 2008 e 2010 rispetto al triennio precedente. La differenza con le epoche passate è che oggi le vittime non hanno diversità di classe, tra chi si toglie la vita si annoverano operai come imprenditori, impiegati come dirigenti.

Mi piace pensare che la festività del 1° Maggio diventi un giorno in cui ricordare tutti i lavoratori, in cui dare speranza perchè non ci si deve mai abbattere davanti alle difficoltà anche se sembrano muri insormontabili, se si pensa di non farcela chiedere aiuto, perchè ognuno di noi ce la può fare.

Alle istituzioni chiedo un cambio di rotta: il risanamento dei conti pubblici è fondamentale… giusto, i sacrifici vanno fatti… giusto ma che siano sacrifici per tutti non solo per i cittadini ma anche per chi, nella Pubblica Amministrazione, vive in una sorta di regime privilegiato che non ha senso si esistere; anzichè aumentare la tassazione e deprimere i consumi, portando ancor più crisi e recessione, tagliamo i costi della politica, ottimizziamo gli uffici pubblici, le spese pubbliche. Relativamente al mercato del lavoro chi segue questo blog, sa come la penso, inutile illudersi che tutto possa rimanere così come è stato sino a oggi, la riforma va fatta, certamente non nel modo in cui il governo la sta portando in parlamento, una riforma monca che come risultato avrà solamente una nuova contrazione delle assunzioni.

Sono comunque fiducioso, certo che anche stavolta come in tante altre volte, l’Italia ce la farà; auguro a tutti un buon 1° Maggio vissuto insieme alle nostre famiglie, celebrando il lavoro come il caposaldo della dignità umana.

Alla prossima!

LA VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE

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AIDP Marche di cui sono Vice Presidente, ha organizzato mercoledì 18 Aprile un incontro a Chiaravalle (AN) in cui si sono dati appuntamento esponenti del mondo HR provenienti dal settore privato e dalla pubblica amministrazione, per confrontarsi sul tema della “Valorizzazione delle Risorse Umane”.

Un’incontro che devo ammettere è stata una vera sorpresa anche per il sottoscritto, facile pensare che le differenze sul tema tra pubblico e privato siano abnormi, devo invece ammettere che seppur c’è ancora tanto da fare nella PA non solo nella valorizzazione delle risorse umane ma anche e soprattutto nella gestione delle stesse, esistono anche realtà quali ad esempio il Comune di Cesena per mezzo della sua dirigente al personale la Dott.ssa Stefania Tagliabue, che invece già oggi esprimono situazioni di grande interesse.

L’intervento che però mi ha maggiormente colpito è stato senza dubbio quello del Dott. Graziano Cucchi HR Consultant e Professore di Organizzazione e Gestione Risorse Umane presso l’Università Politecnica delle Marche di Ancona; un’intervento fatto con la chiarezza accademica ma assolutamente interessante alla luce della situazione economica attuale.

Cucchi è partito giustamente dal concetto che secondo il luogo comune valorizzazione significa “riconoscere qualcosa” (denaro) a fronte di risultati raggiunti; in ambito HR la valorizzazione non è altro che una parte del ciclo di gestione delle risorse umane, può essere di natura economica ma anche in altra natura. In particolare la valorizzazione è data da strumenti tangibili quali appunto i benefits, gli avanzamenti di carriera, aumenti di stipendio; tutti strumenti che nel breve sono gratificanti ma che hanno un effetto di breve durata l’assuefazione alla nuova posizione economica raggiunta è facilmente raggiungibile. Occorre anche ricordare che oggi le aziende, siano esse pubbliche che private, non hanno più soldi a disposizione, per cui da questo lato si tenderà sempre di più a ridurre gli incentivi.

Ecco quindi che gli strumenti intangibili diventano di primaria importanza possiamo annoverarci: le esperienze fatte nel percorso professionale, i feedback positivi ricevuti, la formazione, la partecipazione e la conseguente gestione delle responsabilità; gratificazioni che hanno un impatto economico notevolmente inferiore ma che sono comunque molto apprezzati dai lavoratori. L’obiettivo rimane sempre quello di far crescere la prestazione, aumentando al contempo il valore del contratto psicologico che altro non è che il sentimento che tiene legata la persona all’azienda al di là della mera soddisfazione economica. Usare uno strumento intangibile come la formazione ad esempio, permette di aumentare le competenze della persona, arricchendolo di qualcosa che diventa suo patrimonio di conoscenza, aumentandone la specializzazione.

La valorizzazione inoltre supporta il cambiamento non si può cambiare senza valorizzare le proprie risorse; esistono però precise condizioni affinché ci sia valorizzazione:

Il contesto: dobbiamo essere in presenza di una buona gestione, importante anche la stabilità organizzativa, un’organizzazione che cambia continuamente nelle sue persone di riferimento difficilmente riesce a portare avanti politiche serie di valorizzazione; coerenza da parte di chi propone strumenti di questo tipo ed infine occorre avere tempo a disposizione, perchè i processi sono lunghi.

Leadership: chi propone strumenti di valorizzazione deve avere un’apertura mentale che gli permetta di vedere oltre, deve essere credibile e deve avere il coraggio di porre in essere strumenti di valorizzazione anche innovativi.

All’interno di questa concettualizzazione è chiaro che non c’è differenza tra pubblico e privato, il manager deve avere le stesse caratteristiche, solo chi ha in mano la gestione dei processi può effettivamente mettere in atto politiche di valorizzazione delle risorse umane (a lato del post ho inserito una mappa mentale che ho disegnato partendo dagli appunti presi durante l’intervento del Dott. Cucchi).

Alla prossima!!

COACHING e PERSONAL BRANDING

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Lo scorso 4 Aprile sono stato ad Urbino in occasione del convegno Branding 2.0 in cui si discuteva, tra l’altro, di personal branding. In particolare l’intervento di Sestyle ovvero Enrico Bisetto e Damiano Bordignon, è stato particolarmente interessante e si è centrato proprio sul personal branding.

Nella bella presentazione fatta dai ragazzi di Sestyle, sono stato folgorato dalla slide in cui viene presentata la piramide del Brand Building di Keller rivista in chiave Personal Branding (l’immagine riportata a fianco); non ho potuto fare a meno di ritrovare concetti base del Coaching applicati alla costruzione del proprio brand.

Nel costruire il personal brand, si parte dalla domanda “chi sono?”, si definisce in parole povere la propria identità, realizzando la piena “consapevolezza di sé” prendendo coscienza delle proprie competenze, delle proprie capacità e delle proprie passioni. La stessa cosa che accade nel coaching, in cui nelle fasi del percorso la persona (coachee) prende consapevolezza di sé, partendo dalla cura di sé, analizzando proprio le sue competenze, capacità e passioni da cui emerge il suo potenziale.

La seconda fase nella costruzione del proprio brand risiede nella definizione degli obiettivi, individuando il contesto in cui si opera, ciò che si vuole offrire al mercato di interesse, caratterizzando la propria immagine da promuovere. Lo step successivo riguarda l’espressione di sé attraverso la propria creatività, storia e valori che ci rendono unici; non a caso si usa la parola “personal” proprio per sottolineare l’unicità dell’individuo.

Anche in questo caso i concetti del personal branding si fondono con quelli del coaching; anche nel coaching la persona che segue il percorso definisce i propri obiettivi di crescita, partendo proprio da una fotografia reale della situazione attuale monitorando passo dopo passo la strada di avvicinamento all’obiettivo finale, raggiungendo i traguardi intermedi. Come spesso ho sottolineato, è importante la creazione di un rapporto empatico tra coach e coachee che naturalmente crea una relazione facilitante. Nel coaching come nel personal branding ogni individuo è a se stante ed ha caratteristiche e potenzialità che lo differenziano da chiunque altro, rendendolo unico.

Tutto questo evidenzia ulteriormente che i concetti del coaching sono applicabili in ogni ambito della nostra vita: nel privato (life coaching), nel lavoro (business coaching) e nello sport (sport coaching) e sono un ausilio fondamentale nel raggiungere la realizzazione personale, anche attraverso la costruzione di un valido Personal Brand.

Alla prossima!

RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO: UN’OCCASIONE PERSA.

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L'infografica di LinkiestaCome ormai è noto a tutti, si è avviato l’iter di approvazione della riforma del mercato del lavoro, il via libera del Capo dello Stato alla presentazione del disegno di legge alle Camere ha sancito lo start.

Tra ieri pomeriggio e questa mattina, i maggiori quotidiani italiani hanno pubblicato nei loro siti web il testo del disegno di legge e si sono affrettati a fare infografiche (vedi quella da me inserita è tratta da Linkiesta) nel tentativo di spiegare nel modo più semplice possibile la riforma in atto. Mi rendo conto che stiamo parlando di una materia estremamente complessa come il diritto del lavoro, che non è di facile trattazione, specialmente se non si è del settore; io stesso che opero nelle risorse umane da tempo e che mi documento costantemente non mi sento certo un giuslavorista, ma sicuramente ne so qualcosa in più rispetto a chi si occupa di altro.

La mia curiosità e voglia di conoscenza, mi ha portato immediatamente a stampare il testo della riforma, dopo una prima lettura veloce, mi sono subito saltate all’occhio delle particolarità e delle storture che a mio parere renderanno la riforma una vera e propria occasione persa per fare qualcosa di serio.

La prima critica voglio muoverla alle parti sociali ed ai partiti politici, hanno inscenato una battaglia sull’articolo 18 (di cui ho discusso in post precedenti) in modo errato, convogliando l’attenzione solo sul reintegro in caso di “manifesta insussistenza” del motivo di licenziamento economico o disciplinare. Ci sono state fatte trasmissioni televisive, talkshow radiofonici, sprecati fiumi d’inchiostro, quando sono altre le cose su cui occorre battagliare e su cui le parti sociali dovevano intervenire dimostrando maturità e soprattutto competenza, anche perché diciamocelo chiaro, anche i muri sanno che già oggi, il lavoratore che a termine di una causa di lavoro ottiene il reintegro, non lo accetta mai optando per il risarcimento economico che consta di 15 mensilità.

Andiamo quindi a vedere dove, secondo me, andava portata avanti una battaglia o meglio andava totalmente assecondata la tanto vituperata riforma proposta dal Prof. Ichino con la sua Flexsecurity, che non può essere neanche lontanamente paragonata a questa pseudo riforma in via di approvazione.

Sappiamo tutti che la vera rivoluzione della riforma è che oggi il datore di lavoro a fronte di motivazioni economiche può procedere al licenziamento, è obbligato a darne comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro che a sua volta, entro sette giorni, convoca datore di lavoro e lavoratore dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione per arrivare ad un accordo, le parti possono essere assistite sia dalle rispettive organizzazioni di rappresentanza che da un avvocato o consulente del lavoro.

Se si arriva alla conciliazione il testo recita “..può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore ad un’agenzia di cui all’articolo 4, primo comma, lettera a) e b) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”, oltre ad una indennità risarcitoria. Qui c’è il primo errore: innanzitutto il testo recita “può” il che da margine di discrezionalità (a chi?? Imprenditore, lavoratore, giudice???) se affidare o meno il lavoratore ad una agenzia che ne curi il ricollocamento, la riforma Ichino ricordo che ne dava l’obbligo senza neanche passare in giudizio, si rischia quindi che il lavoratore venga liquidato con una indennità e stop. Il secondo errore viene subito dopo ed anche più abominevole, quando si fa riferimento a chi sono le agenzie a cui affidare il lavoratore: nel disegno di legge si legge “lettera a) e b)” del decreto 10 settembre 2003 n°276, ovvero le agenzie di somministrazione lasciando fuori la lettera e) del medesimo articolo che invece, raccoglie proprio le “agenzie di supporto alla ricollocazione professionale” ovvero coloro che ricollocano le persone per mestiere.

Su questi punti che ritengo centrali nella riforma del mercato del lavoro nessuno ha detto una sola parola, preferendo concentrare l’attenzione su altri temi che come ho detto prima sono assolutamente marginali. Credo sia ovvio a tutti che se oggi si può licenziare per motivi economici, occorre dare assistenza alle persone che subiranno questo tipo di licenziamento, attraverso una indennità economica decente ed un percorso di sostegno alla ricollocazione serio ed obbligatorio. La discussione si è incentrata invece sul reintegro o meno che avviene “solo nel caso in cui CI SIA MANIFESTA INSUSSITENZA”, dimenticando che se invece i motivi ci sono e sono effettivi tutto ciò è aria fritta ed il lavoratore si trova a casa con un minimo indennizzo (se concilia) e forse, senza neanche l’opportunità di essere affidato ad una società che professionalmente ne curi il ricollocamento nel mercato del lavoro.

Il Libro di IchinoProseguendo nell’esame della riforma l’altra cosa che lascia perplessi, sono le norme poste al Capo VI e al Capo VII in cui di parla rispettivamente di “Politiche attive e servizi per l’impiego” e “Apprendimento permanente” in cui, riassumendo brevemente, vengono messe in campo una tale serie di attività formative e di politiche attive del lavoro che ricadranno in buona parte sulle spalle degli attuali Centri per l’Impiego che, sappiamo bene, già oggi non brillano certo per efficienza. Il problema ulteriore è che a queste attività formative sarà legato anche il recepimento o meno dell’ASPI ovvero l’Assicurazione Sociale per l’Impiego da parte del lavoratore; cosa di per se giustissima a patto che dietro ci sia un servizio efficiente e serio.

In conclusione questi i motivi del perché la riforma Ichino era, a mia opinione, di gran lunga migliore ed a vantaggio di lavoratori ed imprese, sarebbe servita realmente ad avvicinarci agli altri paesi europei ed avrebbe dato finalmente il segnale di un Italia che ha voglia effettiva di cambiare marcia; basta leggere il libro “Inchiesta sul Lavoro” di Pietro Ichino per avere ben chiaro cosa si poteva fare e che non si è fatto nonostante gli squilli di tromba iniziali perdendo, sostanzialmente, una grande occasione.

Alla prossima!