mercato del lavoro

Analisi della crisi del sistema Paese – 1° puntata

Postato il

Che tipo di capi e collaboratori hanno bisogno le ns. aziende?

In questi mesi durante il mio girovagare per aziende, sto sempre più prendendo coscienza del perché l’Italia sembra non trovare la fine del tunnel di questa crisi che sembra essere infinita.

Sono sbalordito di quante eccellenze abbiamo a disposizione sia in termini di imprese che di singoli professionisti. Aziende e professionisti che però faticano ad incontrarsi, a mettersi in contatto gli uni con gli altri; vuoi perché si trovano a chilometri di distanza gli uni dagli altri, vuoi perché gli attuali organi di rappresentanza sono in piena crisi e faticano ad aggregare, anzi spesso sono in totale disgregazione.

Mi sono dato il compito di riuscire, nel mio piccolo, a mettere in contatto queste eccellenze, perché è da loro che questo Paese può tornare a correre, uscendo dall’immobilismo in cui si trova, riportando al centro la persona ed il fare impresa in modo innovativo, essendo predisposti al cambiamento.

La stampa, la politica, i talk show televisivi ci raccontano però spesso e volentieri l’altra faccia del Paese, quella legata ai vecchi modi di fare politica, ad una visione del mercato del lavoro che non c’è più, ad un settore pubblico ancora privilegiato rispetto al privato, ad un modo di fare impresa e ad un management ormai decisamente superato. Mi sono ripromesso di affrontare questi temi con una serie di post che andranno a toccare i vari argomenti; con questo primo articolo voglio toccare proprio il sistema di management che spesso, molto spesso, troviamo nelle aziende.

Prendo spunto da una discussione nata su LinkedIn nell’ultima settimana dal titolo “YES MEN non sono necessari e nemmeno utili….” in cui, prendendo spunto dalla immagine sopra riportata, si voleva mettere in evidenza come sia necessario per le imprese avere collaboratori e capi disposti a mettersi in discussione, liberi di proporre e di valutare proposte. Potrebbe sembrare una ovvietà, io stesso mesi fa toccai l’argomento, eppure dalla discussione emerge un quadro totalmente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare. Ecco alcuni dei commenti in cui ometterò il nome del commentatore per motivi di privacy:

Sarà vero in teoria, ma, nella realtà, i/le capi/e amano circondarsi di rassicuranti leccaculo, anziché confrontarsi con collaboratori dotati di capacità d’iniziativa e di spirito critico. Del resto, i libri di economia aziendale, infarciti di astrazioni simili al messaggio che hai pubblicato, sono scritti da persone che non hanno mai lavorato in un’azienda!

Assolutamente d’accordo.. Purtroppo particolarmente in Italia e assolutamente nelle aziende pubbliche bisognerebbe rimuovere quelli che credono di essere dirigenti ma sono solo impiegatocoli al servizio del padrone…quanta strada da fare ancora in questo paese

Mah… Gli yes men si chiamano cosi perche’ la definizione e’ nata in america… Quindi yes men o not men non si nasce, si diventa… Uno yes man a chista sopra ha sempre fatto molto comodo e continuera’ a farlo…

Per alcuni, essere sempre d’accordo con il proprio AD o DG, ha voluto dire e vuole dire fare carriera o essere tra gli intoccabili nelle aziende. Io ho sempre creduto e credo, che fare bene il proprio lavoro e mettere in campo la propria professionalità voglia dire anche contraddire il proprio AD o DG “aiutandolo” a prendere le decisioni giuste, contraddire non è una dichiarazione di guerra, ma sintomo di intelligenza professionali che non tutti, al di là delle competenza hanno

Io sono definito un “rompiballe”, anche se qualcuno aggiunge che ne vorrebbe 10 di rompiballe come me. Dipende sempre dalle condizioni delle divergenze. In alcuni casi ho dovuto abbandonare il progetto prima dello schianto. Confermo che siamo personaggi poco graditi in certi ambiti…..

Situazione vissuta a entrambe le parti: sia come dg, sia come dirigente. stando sopra, avevo in uggia chi era d’accordo a prescindere…che me ne faccio di uno che non dà contributi? così come il bastian contrario preconcetto. Apprezzavo, e non credo possa essere diversamente, chi si comportava come me “sotto”: chi educatamente, cercava di argomentare una posizione diversa: ascoltavo per sommare la mia intelligenza e la mia visione a quella di altri; di solito con buoni risultati. non nego però che spesso la mia voglia di dir la mia non è piaciuta. magari con conseguenze!

Insomma capite bene come in realtà in Italia si predichi bene e si razzoli decisamente male, non c’è stato un commento uno che non si sia trovato d’accordo con quanto riportato nell’immagine, ma che all’atto pratico si è trovato in condizioni completamente diverse. Ha ragione la persona che dice che in Italia fai spesso carriera se sei sempre d’accordo con il tuo capo sia esso l’imprenditore che il dirigente di turno, come è altrettanto vero quanto riportato nell’ultimo commento, ovvero che spesso quando si ha la voglia di dire la propria difficilmente si piace e al contrario spesso si subiscono conseguenze.

Il propositivo è una risorsa per l’azienda, invece spesso diventa un problema da gestire, si diventa i cosiddetti “rompiballe” e spesso ci si ritrova messi alla porta; uno dei passi che questo Paese deve fare per ripartire è proprio quello di partire dalla frase delle fotografia, apriamoci al dialogo, rendiamo le nostre aziende un luogo in cui confrontarsi e far si che tutti contribuiscano al loro successo, proprio come avviene in quelle aziende di cui parlavo all’inizio, in quelle eccellenze che nonostante la burrasca, navigano senza timore di essere ribaltate. Questo non significa che dobbiamo contornarci di bastian contrari (esistono anche questi e lo sappiamo bene tutti) ma semplicemente ascoltare tornando veramente a mettere al centro le persone, un’azienda senza le persone che la compongono è una scatola vuota che può fare ben poco, ricordiamocelo.

Alla prossima!!

Riforme, riforme, riforme…. una riflessione personale

Postato il

Studio ADAPT su Riforme e Occupazione
Studio ADAPT su Riforme e Occupazione

Venerdì scorso, in qualità di Vice Presidente di AIDP Marche (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), abbiamo organizzato insieme a Confindustria Pesaro Urbino, un incontro in cui il Dott. Emmanuele Massagli di ADAPT (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali) ci ha parlato di cosa significa in realtà parlare di flessibilità nel mondo del lavoro.

Incontro molto interessante in cui il Dott. Massagli ha evidenziato come oggi, quando si parla di flessibilità nel mercato del lavoro, si lega al concetto una connotazione totalmente negativa; spesso tendiamo ad associare alla parola flessibilità il concetto di precarietà cosa questa, secondo il mio parere, dovuta alle ultime riforme del mercato del lavoro che come si evince dalla immagine riportata, frutto proprio di una elaborazione da parte di ADAPT, non sono servite praticamente a nulla se non a peggiorare ulteriormente la condizione del mercato del lavoro.

Perchè è successo questo? Perchè nonostante negli ultimi 5 anni ci siano state 5 riforme legate al mondo del lavoro nulla è cambiato? In realtà la risposta è molto semplice, perchè nessuno ha avuto il coraggio di fare una riforma vera e definitiva che possa non solo essere di volano per la ripresa economica ma anche in grado di andare incontro ad un mercato del lavoro che Italia non sarà mai più uguale a prima. Tutti sono partiti sulla carta determinatissimi a cambiare le cose ma quando poi i testi sono arrivati all’esame di parti sociali, commissioni lavoro, politici e di tutti coloro che hanno voluto e potuto metterci mano, sono state tagliuzzate da una parte e dall’altra per far comodo alle varie corporazioni esistenti nel nostro Paese, producendo riforme non solo completamente inutili ma in alcuni casi addirittura nocive per il il mercato del lavoro, su tutti la Riforma Fornero, partita sotto i migliori asupici, strada facendo si è trasformata nella peggior cosa che si potesse fare in un momento come quello attuale.

Quello che i politici devono capire è che non possono continuare a fare proclami altisonanti solo allo scopo di accattivarsi simpatie ma che alla fine non portano a nulla: l’Italia non può più prescindere ad esempio, da una seria riforma del settore pubblico, che va equiparato a quello privato; non possiamo prescindere da una riforma seria ed esemplificativa del mercato del lavoro (la mia idea l’ho data qualche post fa) che esca dalle logiche del guardare ognuno il proprio orticello, da una seria riforma degli ammortizzatori sociali, trasformandoli da passivi in attivi (vi invito a leggere sul tema i recenti articoli di Enrico Marro che possono essere trovati sul sito del Corriere della Sera parlano di cassa integrazione in deroga e di quanto valgono in termini monetari i sindacati). Se continuiamo a fare riforme a puro scopo promozionale ma assolutamente inutili a livello pratico non riusciremo mai ad uscire da questo pantano.

Un’altro caso interessante di progetto potenzialmente fallimentare se non sarà gestito nelle dovute maniere, è la cosiddetta “Garanzia Giovani” di cui tanto si parla. Un progetto che, vale la pena dirlo, non nasce per combattere la disoccupazione giovanile ma semplicemente per riattivare qui giovani che oggi, presi dallo scoramento, risultano essere passivi ovvero ne studiano ne sono in cerca di lavoro (parole queste dello stesso Massagli di ADAPT). In questo caso ci sono in ballo ben 1 miliardo e 134 milioni di Euro messi in campo dall’Europa che se non ben gestiti saranno gettati dalla finestra.

In parole povere l’obiettivo della Garanzia Giovani è quello di rendere più efficienti le politiche di placement ovvero di migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro per i giovani e di cercare di tenere appunto attivi i ragazzi offrendo percorsi formativi seri nel caso in cui non trovassero opportunità lavorative perchè in un mondo come quello attuale formarsi è una costante di tutta una vita.

Benissimo, l’obiettivo è senza dubbio interessante ed ambizioso, mi spiegate però come possiamo pensare di raggiungere questo obiettivo se l’idea di partenza è, nella maggior parte dei casi, di far gestire questo “efficentamento”  ai Centri per l’Impiego??? Se ci troviamo in questa condizione è proprio perchè anche i muri sanno che i CPI non funzionano e l’efficienza non sanno neanche dove sta di casa per non parlare della totale mancanza in molti casi delle competenze necessarie per poter fare matching tra domanda ed offerta. Risulta chiaro che come minimo sarà necessario coinvolgere anche le agenzie per il lavoro private che hanno ben altra efficienza nel reperire posizioni e nel gestire programmi di formazione ed avviare finalmente una seria collaborazione pubblico privato senza mettersi in competizione. Sappiamo tutti che invece ancora una volta seguiremo gli ideali politici locali e così ci saranno regioni che faranno un ottimo lavoro perchè già oggi collaborano con settore privato ed altre dove invece i risultati saranno disastrosi perchè tenderanno a voler accentuare il dualismo tra pubblico e privato.

In definitiva è inutile continuare a lanciare proclami di riforme o progetti altisonanti che poi inesorabilmente si trasformano in “riformine” e progetti in cui l’unico ricordo che rimane è lo sperpero di risorse pubbliche; cambiamento significa anche questo, significa fare poco magari ma fatto bene, ottimizzando i costi e puntando ai risultati.

Ci riusciremo??

Alla prossima!!

NASPI: incentivo o disincentivo?

Postato il

Il Jobs Act ci farà passare il mal di disoccupazione?
Il Jobs Act ci farà passare il mal di disoccupazione?

Nelle ultime settimane tra le miriadi di annunci del neonato Governo Renzi, spicca all’interno del “Jobs Act” la nascita di un nuovo sussidio di disoccupazione che prenderebbe il nome di NASPI (Nuova ASPI).

Di cosa si tratta?? In poche parole sarebbe un sussidio di disoccupazione “universale” nel senso che andrebbe a coprire le esigenze di tutti ma proprio tutti coloro che si trovano a perdere il posto di lavoro, ivi compresi anche i precari come i collaboratori a progetto che oggi sono esclusi da quasi tutti i sostegni. L’ammontare dell’assegno si attesterebbe tra i 1.100 ed i 1.200 € mensili iniziali per scendere gradualmente verso i 700€ al termine del periodo di copertura, periodo che si dice sia di massimo di 2 anni per i lavoratori dipendenti (anzichè 1 o 1 e mezzo dell’ASPI attuale) ed al massimo 6 mesi per gli atipici come appunto i co.co.pro.

La platea di lavoratori oggi coinvolti rispetto alle norme precedenti aumenterebbe di ben 1.200.000 unità, tutti lavoratori oggi esclusi; la NASPI costerà allo Stato ben 1,6 miliardi in più rispetto ad oggi.

Fino a qui tutto bene (come dice nella omonima canzone il rapper Marracash), se però scendiamo in profondità ed andiamo ad analizzare i contenuti sorge il dubbio se questa operazione sia in realtà una operazione di facciata più che una reale volontà di aumento delle tutele, vediamo il perchè: in primis la copertura finanziaria, il governo fa sapere che il “giochetto” dovrebbe trovare copertura “attraverso uno spostamento di risorse dalla attuale cassa integrazione in deroga“, ora facendo un semplice conto matematico ed applicando la proprietà transitiva, minori risorse nella cigs in deroga a casa mia significano un perido inferiore di questo ammortizzatore sociale che era nato proprio per andare incontro alle esigenze di coloro che oggi ne sono sprovvisti. Ecco quindi che la cosa puzza di ennesima presa in giro nei confronti dei lavoratori, per cui allunghiamo qui ma tagliamo di la, con il risultato che nulla cambia nella sostanza.

Il secondo aspetto che mi lascia perplesso è l’ammontare dell’assegno 1.200 €, chiaramente parlare con le notizie attualmente in possesso è difficile, occorre vedere come poi sarà (se mai sarà) nel dettaglio, rimane il fatto che oggi i giornali parlano di questa cifra che secondo la mia opinione è troppo alta e disincentiva il darsi da fare per tentare di ricollcarsi anche se è a calare fino a 700 € finali. Se pensate che lo stipendio medio in Italia si aggira sui 1300 € mensili, darne 1.200 € a chi oggi non fa nulla… beh lascio a voi le conclusioni.

Le altre domande che sorgono spontanee sono: ma saranno 1200 € per tutti indistintamente oppure l’ammontare dell’assegno verrà modulato in base all’ultimo stipendio preso dal lavoratore che ha perso il posto di lavoro? Ricordo che l’attuale ASPI prevede che l’assegno ammonti al 75% della retribuzione nel caso in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore a 1.180 €, se la retribuzione supera tali limiti l’indennità attuale è pari al 75% dell’importo di cui sopra più il 25% della retribuzione eccedente, con un calo del 15% dopo i primi sei mesi e di un ulteriore 15% dopo un anno. La stampa riporta che anche nella NASPI si parla del 75% dell’importo della retribuzione dell’ultimo periodo ma non si capisce se sarà così per tutti o se ci saranno differenziazioni come per l’ASPI.

L’ottenimento dell’assegno sarebbe subordinato all’obbligo di seguire un “fantomatico” corso di formazione e di non rifiutare più di una proposta di lavoro; anche in questo caso sarebbe bene scendere in profondità per capire intanto di che corso formativo stiamo parlando ed a ruota capire cosa si intende per rifiuto di una proposta di lavoro: qualsiasi? Oppure entro certi parametri non meglio identificati?

Insomma personalmente credo che anzichè continuare a parlare di politiche “passive” del lavoro, sia il caso di iniziare a parlare di politiche “attive”, 1200 € al mese senza fare nulla mi sembra una soluzione che porta da tutte le parti fuorchè nella direzione in cui si dovrebbe andare ovvero verso il rendersi attivi nei confronti del mercato del lavoro. Al contrario io proporrei una durata maggiore di indennità se dimostro di “darmi da fare” per costruirmi una nuova impiegabilità come? Ti iscrivi ad un corso di formazione (serio) al termine del quale avrai imparato un nuovo mestiere, oppure ti sarai specializzato in un ruolo particolare ottenendo un attestato riconosciuto, oppure ti consentirà di avviare una tua iniziativa imprenditoriale? Bene allora l’indennità rimarrà al massimo per tutta la durata della formazione e calerà nei termini di legge solo dopo che hai terminato il periodo formativo. Decidi di farti seguire in un percorso che ti aiuterà a trovare nuove strade professionali o a incrementare la tua professionalità rendendoti più appetibile per il mercato del lavoro, bene indennità al massimo per tutto il periodo formativo come sopra, sei uno che si vuole rimettere in gioco ed accetta qualsiasi opportunità gli capita a portata di mano? Bene se il lavoro che hai accettato è di livello palesemente inferiore alla tua professionalità, il tuo stipendio verrà integrato con fondi pubblici. Al contrario chi resta in attesa della manna, si culla sul sussidio senza fare nulla per crearsi una nuova via all’occupazione, non accetta di rimettersi in gioco pur di lavorare o lo fa in nero, vedrà l’ammontare dell’assegno calare drasticamente mese dopo mese con un termine della copertura entro l’anno.

In questo modo avremo persone attive sul mercato del lavoro e sono certo che i costi diminuiranno drasticamente per lo Stato, senza contare che si attuerebbe quella riqualificazione professionale di cui oggi si sente tanto bisogno, in particolare per tutti coloro che conoscono un mestiere che oggi, purtroppo, non c’è più.

Alla prossima!!

Politiche attive del lavoro: è ora di muoversi!

Postato il

Rendersi attivi nel mercato del lavoro
Rendersi attivi nel mercato del lavoro

Torno dopo qualche tempo su un argomento a cui tengo molto, ovvero l’implementazione di politiche attive reali del lavoro. In questi giorni mi trovo nel mezzo di alcune trattative che risaltano sulla stampa nazionale e che sono state spunto per alcune rifelssioni che vorrei condividiere.

In Italia ci sono diverse situazioni paradossali, dove l’uso improprio degli ammortizzatori sociali ha creato vere e proprie situazioni di assistenzialismo puro e posso pensare anche di incremento di economia sommersa, senza alcuna possibilità di rientro in azienda perchè gli esuberi sono diventati ormai strutturali. Casi di cui però nessuno vuole occuparsi, se fate una ricerca sul web troverete molti dati relativi al monte ore di cassa che sono state richieste dalle aziende suddivise tra CIGO (ordinaria) CIGS (straordinaria), CIGD (deroga) ma poco o nulla relativamente a quali aziende sono destinate queste ore e da quanto tempo ne usufruiscono.

Gli unici dati che, tra le righe, raccontano la realtà della situazione si trovano all’interno del “Rapporto Annuale 2013” dell’ISTAT che a pagina 106 riporta testualmente: “..si sta allungando la durata dei periodi di CIG e sta diventando più probabile la transizione verso la disoccupazione.“, seguono i dati percentuali. In quella frase è raccolta la verità che le parti sociali ignorano o fanno finta di ignorare ovvero un utilizzo di massa degli ammortizzatori sociali anche quando già all’inzio della trattativa è chiaro a tutti che si tratta non di “temporanea sospensione” della attività lavorativa ma di veri e propri esuberi per l’azienda.

Gli ammortizzatori sociali sono sacrosanti e sono nati con scopi ben specifici come riporta la legge, il problema è che si stanno snaturando, vengono utlizzati in modo improprio per mascherare situazioni di ben altra tipologia. Certo spesso questo avviene per cercare di fare il bene di coloro che altrimenti rimarrebbero senza lavoro, sta di fatto però che queste situazioni hanno partorito mostri di assistenzialismo che non fanno il bene ne del Paese ma neanche degli stessi lavoratori coinvolti.

Ci sono storie in giro per l’Italia di aziende che usufruiscono di cassa integrazione a zero ore (che per i non addetti ai lavori significa rimanere in forza all’azienda pur restando a casa e non lavorando neanche un minuto prendendo l’80% dello stipendio) da più di 10 anni, con il risultato di avere persone che sono “fuori dal mercato del lavoro” da tutto questo tempo; capite bene come in un mondo che cambia sempre più velocemente, la professionalità di queste persone sia ormai persa. Non solo, quando all’inizio parlavo di incremento dell’economia sommersa intendevo dire che spesso a queste situazioni si associano episodi di persone che pur permanendo in cassa integrazione lavorano in nero (l’ultimo caso in ordine di tempo lo trovate qui).

Emerge chiaro il fatto che queste sono politiche statiche del lavoro, fino a quando le persone sono in carico all’azienda nessuno si attiverà mai per cercare nuove opportunità, con il risultato di rimanere passivamente in attesa di cambiamenti che non avverranno mai (si veda quanto riportato dall’ISTAT sopra); per il bene di tutti, occorre dare un’incremento sostanzioso alle politiche attive del lavoro, attraverso tutte quelle attività che rendano il lavoratore “attivo” nei confronti del mercato del lavoro, che permettano allo stesso di aumentare la propria impiegabilità verso nuove attività professionali. In questo le istituzioni potrebbero fare tanto, usufruendo anche di fondi che l’Unione Europea mette a disposizione ma che troppo spesso rimangono inutilizzati, ma anche le aziende potrebbero mettere sul tavolo incentivi economici funzionali alla messa in opera di queste attività.

Questo appello deve essere raccolto da tutti gli attori del mondo del lavoro: dallo Stato per un miglioramento dei conti pubblici, dalle parti sociali per un miglioramento della competitività delle aziende da un lato e per dare nuove possibilità ai lavoratori, dalle aziende per dimostare vera responsabilità sociale nei confronti dei propri lavoratori da cui si è costretti a separarsi, dai lavoratori stessi in modo che comprendano che è meglio trovare un’altro posto di lavoro piuttosto che languire, pur assistiti, in casa rimandando un problema che prima o poi chiederà il conto.

Utopia? Io credo proprio di no.

Alla prossima!!

SVEGLIAMOCI, oppure affondiamo…

Postato il

"Cambiare" questa la parola d'ordine
“Cambiare” questa la parola d’ordine

Pochi sanno che sono consigliere comunale in un piccolo paese della Vallesina (Marche), una esperienza che ho voluto compiere con altri semplici cittadini, stufi di lamentarsi senza fare nulla per il bene del nostro Paese, una lista civica trasversale la cui esperienza sta volgendo al termine. Venerdì scorso il Sindaco ha voluto indire un consiglio comunale aperto sullo stato occupazionale della Vallesina a cui hanno partecipato l’Assessore Regionale al Lavoro Marco Luchetti, il commissario della Provincia Patrizia Casagrande, esponenti del mondo sindacale locale, delle banche e di Confindustria.

Nel mio intervento sono tornato a calcare la mano in merito alla parola cambiamento di cui ho più volte discusso in questo blog e negli incontri a cui ho preso parte. Vi riporto un passaggio dell’intervento, sono fermamente convinto che il Paese tutto debba svegliarsi e mettere in atto il cambiamento, altrimenti il rischio è affondare inesorabilmente.

“La situazione occupazionale della Vallesina è sicuramente allarmante, corrisponde all’andamento regionale che rispecchia in gran parte il dato nazionale anche se con qualche punto percentuale migliore.

Il Rapporto dell’industria marchigiana del 2012 presentato nelle sede di Banca Marche qualche mese fa ci ha consegnato dati allarmanti circa la capacità di fare impresa delle aziende marchigiane, in particolare delle PMI che come tutti sappiamo costituiscono la spina dorsale del modello economico marchigiano.

La parola crisi deriva dal greco “krino” che significa discernere, valutare; non ha di per se l’accezione negativa che tutti noi tendiamo a dare, rappresenta indubbiamente un momento di riflessione. Ritengo con ragionevole certezza di poter dire che crisi è un sinonimo di cambiamento, non a caso la crisi arriva quando qualche cosa è cambiato nel mercato ed è solo con un momento di riflessione a cui far seguire importanti cambiamenti, che si può pensare di uscirne.

Cambiamento, questa è la parola chiave!! Una parola con cui molti tendono a riempirsi la bocca ma che pochi o nessuno al momento, mettono realmente in atto.

Tutti gli attori presenti nel mercato dl lavoro: imprese, lavoratori, istituzioni ed organizzazioni sindacali e datoriali, hanno l’obbligo di capire che questa non è una normale oscillazione del ciclo economico, ma una crisi strutturale dovuta ad un mutamento profondo degli assetti economici mondiali che ha spostato gli equilibri e fatto crollare in pochissimo tempo, teorie economiche ritenute inossidabili. Si pensi al famoso modello marchigiano, tanto osannato ed insegnato nelle scuole ed università italiane per decenni ma che oggi è diventato carta straccia.

Cambiamento dunque perché o si cambia o si soccombe! Vale per l’impresa, lo dicevo poco fa, piccolo non è più bello, oggi per competere occorre aumentare le dimensioni, occorre fare sistema, occorre fare rete, rete di imprese che insieme, con maggiori energie, competenze e potere economico possono affrontare i mercati internazionali. Gli imprenditori devono uscire dalla logica che il mio dirimpettaio è il mio nemico e capire che solo unendo le forze per studiare nuovi prodotti, ottenere credito, avere maggiore potere contrattuale e capacità produttiva si può affrontare la concorrenza internazionale e penetrare in mercati che da soli sarebbero impossibili da affrontare.

Internazionalizzare dunque non delocalizzare, una politica questa che può essere sembrata vincente nel breve periodo perché ha aumentato i profitti ma che è palesemente perdente nel medio lungo perché distrugge ricchezza e crea povertà, una povertà che inevitabilmente si ritorce contro le stesse aziende che l’hanno praticata.

L’Italia ha delle peculiarità e su quelle deve puntare: l’eccellenza nella moda, nel design, nel turismo, nell’alimentare, nel mercato del lusso, nell’alta tecnologia. Occorre innovare e farlo realmente, puntare su produzioni povere non è più pensabile quando all’estero questo tipo di produzioni viene realizzato a costi palesemente inferiori.

Va abbassato il cuneo fiscale per le imprese, non è pensabile che un lavoratore costi all’azienda oggi il doppio se non il triplo di quello che percepisce realmente, è facile capire che questa è una tattica perdente per la competitività delle imprese e per i lavoratori stessi ma anche per possibili investitori stranieri.

Il sistema finanziario deve tornare a concedere credito alle aziende ed ai cittadini, lo ha detto anche il Governatore della Banca Centrale Europea Draghi che ha dimostrato con i fatti di voler creare condizioni di miglior favore per le imprese e per la gente, condizioni però bloccate dalle banche che a parole si dicono disponibili ad andare incontro alle imprese ma che nei fatti continuano a tenere i rubinetti ben serrati.

Questi passi vanno fatti uniti ed insieme! Perché mai come oggi l’unione fa la forza, credo che la nuova presidenza appena insediata di Confindustria Ancona si voglia rendere interprete di questo desiderio di cambiamento imprenditoriale almeno questo è quello che si è evinto dalle parole di insediamento del Presidente Claudio Schiavoni AD di IMESA, una delle poche aziende della Vallesina che è un esempio di crescita da anni e che ancora oggi, in questa situazione, è in continuo sviluppo anche grazie ai paesi Esteri.

Cambiamento anche nei lavoratori, inutile prenderci in giro, lo dico da addetto ai lavori, il mercato del lavoro è cambiato, pensare che tutto tornerà come prima è anacronistico e assolutamente utopico; il posto fisso come lo intendevano i nostri genitori non esiste più, nell’arco della vita professionale cambiamo e cambieremo almeno 4/5 volte (dati del Ministero del Lavoro) il ns. percorso professionale ed i nostri figli probabilmente ne cambieranno 10 se non di più, a volte per ns. volontà, altre, come nel caso della crisi che stiamo attraversando, per volontà altrui.

Cambiare lavoro non deve essere vissuto come una minaccia, ma come una opportunità di crescita, significa rinnovarsi, aiuta ad innovare, ad acquisire nuove competenze, funge da stimolo a non adagiarsi su quanto raggiunto per scalare posizioni più migliori.

In un mercato del lavoro che è mutato, perseverare con le vecchie logiche di sostegno al lavoratore è una strategia non solo perdente per il lavoratore stesso ma anche per i conti di imprese e Stato. Dobbiamo mettere in pista nuovi strumenti a sostegno dell’occupabilità e del lavoratore.

In questo contesto la Riforma Fornero è stata solo un maldestro tentativo di cambiamento, iniziato con tutte le buone intenzioni ma naufragato clamorosamente al termine dell’iter di approvazione a causa dei veti incrociati di tutte le parti chiamate a dire la loro, con il risultato di partorire un obrobrio che invece di creare occupazione l’ha palesemente ridotta, modificando qualcosa solo in ambito di uscita del lavoratore. Sono sempre stato e continuo ad esserlo un fermo sostenitore della flexsecurity del prof. Ichino, l’unica vera riforma seria del mercato del lavoro da applicare in toto per facilitare il cambiamento che stiamo vivendo e per assicurare ai lavoratori maggiori opportunità occupazionali.

Veniamo quindi al cambiamento nelle relazioni industriali e nelle istituzioni.

Gli ammortizzatori sociali sono sacrosanti, ma vanno usati non abusati, conosco storie di lavoratori che sono in Cassa Integrazione da anni, in alcuni casi anche da decenni e che si trovano oggi, come ieri, senza alcuna possibilità di rientrare nel posto di lavoro. Con il risultato di essere rimasti fuori dal mercato del lavoro per anni, aver perso competenze e ritrovarsi oggi in condizioni di gran lunga peggiori rispetto all’inizio del periodo di cassa.

Occorre affiancare agli ammortizzatori sociali che sono per l’appunto passivi, politiche attive del lavoro adatti ai tempi mutati, che siano efficaci nell’ottica di assicurare NON la stabilità del posto di lavoro ma la CONTINUITA’ tra le diverse successive collocazioni lavorative, da realizzarsi innanzitutto attraverso un corretto incontro tra domanda e offerta. Fornire nei momenti di cassa integrazione momenti formativi SERI per permettere ai lavoratori di incrementare le proprie competenze e migliorare la propria occupabilità. Questo, secondo me, significa essere socialmente responsabili del futuro dei propri collaboratori e cittadini.

….

Questi dati fanno chiaramente capire come si possano mettere in pista, anche usufruendo di fondi europei come avviene in almeno tre regioni dl nord Italia, servizi che supportino il lavoratore nel trovare queste opportunità che il mercato comunque offre.

….

In definitiva occorre che alle misure a sostegno della crescita del sistema Paese, di cui oggi tanto si discute, vengano affiancate altrettante politiche attive a sostegno dell’occupazione e del lavoratore che, in caso di perdita del posto di lavoro ed in ottica di responsabilità sociale, non va abbandonato a se stesso ed al fai da te, ma accompagnato ed orientato ad intraprendere nuovi percorsi professionali e incoraggiato a cogliere nuove opportunità magari più interessanti e stimolanti.

Cambiamento dunque, questo il verbo che dobbiamo tutti impegnarci a mettere in pratica se vogliamo uscire da questo pantano, ritrovando un modo etico di fare impresa basato sulla coesione di tutte le forze in campo: politiche, imprenditoriali, sindacali ed umane.

Chiudo con una frase in cui mi sono imbattuto solo ieri, è di Robert Kennedy e dice “Il cambiamento, con tutti i rischi che comporta, è la legge dell’esistenza”.”

Alla prossima!!

Mercato del Lavoro: un’analisi personale sullo stato attuale.

Postato il

FindJobViene facile per me parlare di lavoro, occupandomi di outplacement ovvero accompagnare le persone in uscita dalle aziende, verso la ricerca di una nuova opportunità professionale, mi trovo quotidianamente a tastare il polso del mercato del lavoro.

Spesso ho toccato questo argomento nel blog ma mai come in questo periodo, mi rendo conto che le condizioni del “paziente” (inteso come mercato del lavoro che sicuramente non possiamo definire oggi sano e vigoroso) variano di mese in mese, condizioni altalenanti dovute chiaramente a questo protrasi della crisi economica. Mi preme quindi tentare di redigere una sorta di “bollettino medico” sullo stato del malato di questo inizio 2013.

Prima di partire con il bollettino permettemi però di fare una considerazione del tutto personale su come gli italiani stiano vivendo questo momento perchè credetemi, anche se posso sembrare un pazzo (ma vi garantisco che così non è) sono ancora in tanti nel nostro Paese a non aver capito in che momento storico ci troviamo. Capite da soli quante persone mi contattano quotidianamente per cercare una spalla che le supporti nella ricollocazione, spesso maleinterpretando il mio ruolo che è quello di ricevere l’incarico direttamente dalle aziende che dichiarano gli esuberi, di supportare i loro ex dipendenti in uscita, nella via verso una nuova opportunità lavorativa. Dicevo di quante persone mi contattano, ebbene se escludiamo chi è realmente senza lavoro, ci sono anche moltissime persone che pur disponendo di un lavoro (a tempo indeterminato) si ritengono insoddisfatti del loro impiego e vorrebbero cambiare. Discorso lecito certo, anzi doveroso sotto certi aspetti perchè alzarsi la mattina con l’idea di andare in un posto che odiamo non è certo la cosa migliore da fare, soprattutto a livello di salute mentale. Oggi però il contesto è diverso, oggi chi ha un posto di lavoro è bene che se lo tenga stretto, anche se questo non è quello che sognamo, sospendendo ogni possibile velleità di ricollocazione, almeno siano a quando il mercato del lavoro non dia chiari segnali di ripresa.

Non parlerò in questo post delle soluzioni che ritengo siano necessarie per invetire la tendenza, argomento che ho già trattato un paio di settimane fa (vedi post “Idee per l’agenda politica del futuro governo in tema di occupazione“); parto invece da alcuni dati chiari ed evidenti ai più su cosa sta realmente accadendo nelle aziende, senza giudicare se la strategia adottata sia giusta o sbagliata, cosa questa che lascio dedurre a voi.

Le aziende oggi per tentare di sopravvivere al calo vertiginoso degli ordinativi e quindi dei fatturati devono, gioco forza, diminuire i costi. Questa diminuzione di costi passa attraverso diverse scelte che l’azienda mette in campo: uso degli ammortizzatori sociali, accorpamento di alcune funzioni, ottimizzazione delle spese ecc.. Per quanto riguarda le ricadute in termini occupazionali oggi abbiamo operai ed impiegati di livello medio in cassa integrazione, quadri e dirigenti che invece vengono tagliati direttamente in quelle funzioni che le aziende ritengono accorpabili o gestibili con figure junior.

Il mercato comunque si muove, le aziende sono sempre alla ricerca di personale, ciò che è cambiato è la modalità di ingresso in azienda; ecco un breve quadro suddiviso per tipologia professionale:

Dirigenti e Quadri: se sono hanno esperienza ed operano su determinati settori, sono sempre ricercati dalle aziende, le assunzioni sono però difficilmente a tempo indeterminato, si parla di contratti a termine spesso come temporary manager o con contratti di consulenza. In questo modo l’azienda porta dentro know how ma a costi decisamente inferiori rispetto ad una assunzione vera e propria, oggi impossibile da sostenere.

Impiegati e Operai: le aziende tendono ad assumere chi ha sgravi fiscali (mobilità) anche se spesso vorrebbero figure junior ma con una esperienza da senior che di per se è chiaramente inconciliabile; anche in questo caso i contratti sono rigorosamente a termine tempi determinati, somministrazione in alcuni casi (specialmente per gli operai).

Giovani: va fatto un discorso a parte, è indubbio (nonostante i dati sulla disoccupazione che tra l’altro non mi trovano concorde) oggi sono quelli che hanno maggiori possibilità di trovare una opportunità lavorativa, anche qui cambia l’inserimento in azienda che passa attraverso lo stage, l’apprendistato, lavori a progetto.. dimenticatevi quindi contratti a tempo indeterminato da subito ed abituatevi al fatto che da ora in avanti sarà così; è chiaro… questo significa fare sacrifici che molti già conoscono sulla propria pelle, l’importante però è avere un percorso di carriera ben chiaro in mente e la determinazione ferrea a volerlo intraprendere; mai perdersi d’animo.

Chiudo con piccoli consigli su cv e ricerca di nuove opportunità; per prima cosa evitate cv che definisco “enciclopedici”, mi sono imbattuto in cv a cui mancava solo di essere rilegati, non verranno mai presi in considerazione dai selezionatori che sono, di norma, abituati a giudicare un cv in meno di 5 minuti; largo quindi a cv di massimo due pagine, evitate accuratamente i cv in formato europeo sono piatti e vuoti (lo avrò ripetuto non so quante volte eppure ancora ne vedo a palate) rendono tutti uguali, il cv invece deve essere il biglietto da visita della persona, deve differenziarlo dagli altri.

Lavorate sul vostro network di conoscenze ed ampliatelo più che potete, in Italia l’85% delle posizioni viaggia sul passaparola, sulla conoscenza personale; usate i social network in modo consono: si a Linkedin come social network professionale, attenzione a Facebook e Twitter specialmente su foto che pubblicate e commenti che fate, i professionisti dell’HR vi osservano e spesso vi tagliano fuori da una selezione per quello che scrivete e pubblicate; in termini di personal branding molto bene avviare blog che trattino argomenti relativi alle vostre competenze.

A proposito di competenze, ampliatele sempre, restate sempre aggiornati sul nuovo, fate formazione continua, oggi il miglior investimento che può fare un lavoratore è investire sulle sue conoscenze, lo studio e l’approfondimento non finiscono mai. La competenza e la conoscenza sono il nostro più grande tesoro che ci rende appetibili per le aziende, il “forziere” quindi va custodito con cura.

Alla prossima!