cambiamento

Analisi della crisi del sistema Paese – 1° puntata

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Che tipo di capi e collaboratori hanno bisogno le ns. aziende?

In questi mesi durante il mio girovagare per aziende, sto sempre più prendendo coscienza del perché l’Italia sembra non trovare la fine del tunnel di questa crisi che sembra essere infinita.

Sono sbalordito di quante eccellenze abbiamo a disposizione sia in termini di imprese che di singoli professionisti. Aziende e professionisti che però faticano ad incontrarsi, a mettersi in contatto gli uni con gli altri; vuoi perché si trovano a chilometri di distanza gli uni dagli altri, vuoi perché gli attuali organi di rappresentanza sono in piena crisi e faticano ad aggregare, anzi spesso sono in totale disgregazione.

Mi sono dato il compito di riuscire, nel mio piccolo, a mettere in contatto queste eccellenze, perché è da loro che questo Paese può tornare a correre, uscendo dall’immobilismo in cui si trova, riportando al centro la persona ed il fare impresa in modo innovativo, essendo predisposti al cambiamento.

La stampa, la politica, i talk show televisivi ci raccontano però spesso e volentieri l’altra faccia del Paese, quella legata ai vecchi modi di fare politica, ad una visione del mercato del lavoro che non c’è più, ad un settore pubblico ancora privilegiato rispetto al privato, ad un modo di fare impresa e ad un management ormai decisamente superato. Mi sono ripromesso di affrontare questi temi con una serie di post che andranno a toccare i vari argomenti; con questo primo articolo voglio toccare proprio il sistema di management che spesso, molto spesso, troviamo nelle aziende.

Prendo spunto da una discussione nata su LinkedIn nell’ultima settimana dal titolo “YES MEN non sono necessari e nemmeno utili….” in cui, prendendo spunto dalla immagine sopra riportata, si voleva mettere in evidenza come sia necessario per le imprese avere collaboratori e capi disposti a mettersi in discussione, liberi di proporre e di valutare proposte. Potrebbe sembrare una ovvietà, io stesso mesi fa toccai l’argomento, eppure dalla discussione emerge un quadro totalmente diverso da quello che ci si potrebbe aspettare. Ecco alcuni dei commenti in cui ometterò il nome del commentatore per motivi di privacy:

Sarà vero in teoria, ma, nella realtà, i/le capi/e amano circondarsi di rassicuranti leccaculo, anziché confrontarsi con collaboratori dotati di capacità d’iniziativa e di spirito critico. Del resto, i libri di economia aziendale, infarciti di astrazioni simili al messaggio che hai pubblicato, sono scritti da persone che non hanno mai lavorato in un’azienda!

Assolutamente d’accordo.. Purtroppo particolarmente in Italia e assolutamente nelle aziende pubbliche bisognerebbe rimuovere quelli che credono di essere dirigenti ma sono solo impiegatocoli al servizio del padrone…quanta strada da fare ancora in questo paese

Mah… Gli yes men si chiamano cosi perche’ la definizione e’ nata in america… Quindi yes men o not men non si nasce, si diventa… Uno yes man a chista sopra ha sempre fatto molto comodo e continuera’ a farlo…

Per alcuni, essere sempre d’accordo con il proprio AD o DG, ha voluto dire e vuole dire fare carriera o essere tra gli intoccabili nelle aziende. Io ho sempre creduto e credo, che fare bene il proprio lavoro e mettere in campo la propria professionalità voglia dire anche contraddire il proprio AD o DG “aiutandolo” a prendere le decisioni giuste, contraddire non è una dichiarazione di guerra, ma sintomo di intelligenza professionali che non tutti, al di là delle competenza hanno

Io sono definito un “rompiballe”, anche se qualcuno aggiunge che ne vorrebbe 10 di rompiballe come me. Dipende sempre dalle condizioni delle divergenze. In alcuni casi ho dovuto abbandonare il progetto prima dello schianto. Confermo che siamo personaggi poco graditi in certi ambiti…..

Situazione vissuta a entrambe le parti: sia come dg, sia come dirigente. stando sopra, avevo in uggia chi era d’accordo a prescindere…che me ne faccio di uno che non dà contributi? così come il bastian contrario preconcetto. Apprezzavo, e non credo possa essere diversamente, chi si comportava come me “sotto”: chi educatamente, cercava di argomentare una posizione diversa: ascoltavo per sommare la mia intelligenza e la mia visione a quella di altri; di solito con buoni risultati. non nego però che spesso la mia voglia di dir la mia non è piaciuta. magari con conseguenze!

Insomma capite bene come in realtà in Italia si predichi bene e si razzoli decisamente male, non c’è stato un commento uno che non si sia trovato d’accordo con quanto riportato nell’immagine, ma che all’atto pratico si è trovato in condizioni completamente diverse. Ha ragione la persona che dice che in Italia fai spesso carriera se sei sempre d’accordo con il tuo capo sia esso l’imprenditore che il dirigente di turno, come è altrettanto vero quanto riportato nell’ultimo commento, ovvero che spesso quando si ha la voglia di dire la propria difficilmente si piace e al contrario spesso si subiscono conseguenze.

Il propositivo è una risorsa per l’azienda, invece spesso diventa un problema da gestire, si diventa i cosiddetti “rompiballe” e spesso ci si ritrova messi alla porta; uno dei passi che questo Paese deve fare per ripartire è proprio quello di partire dalla frase delle fotografia, apriamoci al dialogo, rendiamo le nostre aziende un luogo in cui confrontarsi e far si che tutti contribuiscano al loro successo, proprio come avviene in quelle aziende di cui parlavo all’inizio, in quelle eccellenze che nonostante la burrasca, navigano senza timore di essere ribaltate. Questo non significa che dobbiamo contornarci di bastian contrari (esistono anche questi e lo sappiamo bene tutti) ma semplicemente ascoltare tornando veramente a mettere al centro le persone, un’azienda senza le persone che la compongono è una scatola vuota che può fare ben poco, ricordiamocelo.

Alla prossima!!

AUGURI DA RU E DINTORNI

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Auguri!
Auguri!

Eccoci qui, giunti nuovamente in prossimità delle festività natalizie, in attesa che questo 2013 si chiuda senza ulteriori scossoni e con la speranza che il 2014 ci porti buone nuove.

Seeeee “speranza” …. chissà perchè quando sento questa parola mi si materializza la faccia di Diego Abatantuono che interpreta Lorusso nel celebre film Mediterraneo, che alla “speranza” di tornare presto a casa dalla guerra dei fratelli Munaron risponde con un quanto mai eloquente: “Chi vive sperando, muore ……..” vabbè non vado oltre, tanto sapete già come finisce.

Probabilmente vi domanderete se sia impazzito, no affatto è che in quella frase, diciamo anche scurrile, è nascosta una grande verità, attendere la manna dal cielo è una pia illusione per parafrasarla con termini accettabili.

Il problema è che in Italia in molti… tanti…. sicuramente troppi, sono li alla finestra che “sperano” di vedere qualcosa di nuovo con la chiusura di questo 2013, che si augurano di toccare con mano quella ripresa più e più volte annunciata ma mai realmente iniziata. Si ma… se non ricordo male sono le stesse parole che sento pronunciare dal 2009 (primo anno dopo l’inizio della crisi nel 2008) e scusate ma……. è forse cambiato qualcosa? Direi proprio di no, eppure gli Stati Uniti sono tornati a crescere e la disoccupazione è scesa, lo stesso dicasi per quel che riguarda il Regno Unito come avete potuto leggere dal mio post della scorsa settimana e noi? Noi siamo qui che “speriamo” che qualcosa cambi…..

Basta attendere, basta sperare, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare; è indubbio che il nostro sistema politico-economico va cambiato, come va cambiato il modo di fare impresa, coma va cambiato il modo di concepire il lavoro, come va cambiato il nostro modo di vivere la collettività. Tornare a scoprire parole come: valori, etica, meritocrazia, rispetto è la base per renderci artefici di questo cambiamento, in tanti lo stanno già facendo, il mio lavoro mi porta ad essere in contatto con tantissime persone e posso garantirvi che in ogni parte d’Italia ci sono: politici, imprenditori, persone che si sono svegliati dal torpore ed hanno deciso che occorre FARE anzichè SPERARE.

Permettetemi di menzionare ancora una volta la frase di una persona che ha fatto del cambiamento la sua vita:

“Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”
Mahatma Gandhi

Questo è l’augurio che mi sento di farvi, perchè solo in questo modo riusciremo effettivamente a vedere qualcosa di nuovo.

Come sempre per le festività RU e dintorni si prende una pausa, le pubblicazioni riprenderanno con la seconda settimana di Gennaio 2014…… e per il nuovo anno ho in serbo una sorpresa.

Tanti cari auguri a voi ed alle vostre famiglie!

RIMETTERSI IN GIOCO… SEMPRE!

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Un momento del mio intervento in ISTAO
Un momento del mio intervento in ISTAO

Venerdì 14 Giugno ho partecipato, in qualità di relatore con un mio intervento, alla reunion annuale dell’ALUMNI CLUB di ISTAO; l’incontro è avvenuto con la formula di tre interventi su tre temi diversi tenuti da tre professionisti; gli ex alunni ISTAO sono stati suddivisi in tre gruppi sulla base della anzianità lavorativa: i “rookies” (da 0 a 5 anni di esperienza), i “professional” (da 6 a 15 anni di esperienza) ed i “senior” (da 16 anni in poi).

Sono onorato ad essere stato interpellato per tenere uno dei tre interventi su un tema che conosco molto bene e che riguarda sia il mio ruolo di consulente di outplacement che di coach professionista, il titolo è esattamente quello di questo post ovvero “Rimettersi in gioco… sempre” come ricollocarsi nel mondo del lavoro? Come crearsi nuovi obiettivi e nuovi stimoli? Come sfruttare al meglio le proprie potenzialità sul posto di lavoro? A queste domande e molte altre gli alumni ISTAO hanno tentato di dare delle risposte riunendosi nei tre gruppi sopra riportati per nove minuti prima del mio intervento e per altri nove minuti dopo il mio intervento in modo da trovare ulteriori spunti alla riflessione.

I risultati che sono emersi sono estremamente interessanti, oltre che per i contenuti, per il modo diverso di vedere la tematica da parte dei gruppi; emerge ad esempio che i rookies che rappresentato le nuove leve, i giovani, sono molto più a loro agio con l’idea del cambiamento costante, con l’idea di doversi sempre e comunque rimettersi in gioco. Il cambio repentino nel mercato del lavoro, la crisi, il nuovo mondo che ne sta emergendo, la flessibilità sono tutti avvenimenti che hanno cambiato i giovani, li hanno resi più avvezzi all’idea di non dare più nulla per scontato, di doversi sudare ogni santo giorno la possibilità non solo di fare carriera ma anche di meritare il posto di lavoro.

I ragazzi sono convinti che si devono cogliere le occasioni di cambiamento come se fossero occasioni di crescita personale, un modo estremamente positivo di porsi nei confronti delle novità; ritengono assolutamente necessario tenere sempre alto il livello delle proprie competenze, per cui sono fermamente convinti che occorra formarsi costantemente.

I professional hanno un punto di vista leggermente diverso dai giovani, rappresentano un’altra generazione, che si trova a metà tra l’estrema flessibilità dei rookies e la difficile convivenza col cambiamento dei senior. Hanno una visione maggiormente pragmatica dell’idea di rimettersi in gioco, legata più che altro alla propria posizione lavorativa attuale; questo significa pensare all’idea di trovare certamente sempre nuove opportunità ma di farlo all’interno della propria azienda, oppure indirizzandosi verso quelle aziende che, ad esempio, sono maggiormente legate all’export che in questa fase storica risulta essere caratteristica fondamentale, in poche parole traspare chiara l’idea di cercare comunque il più possibile un posto di lavoro in grado di dare sicurezza e stabilità. Cambiamento quindi certamente, ma per ambire comunque al classico posto fisso.

In ultimo i senior, in questo caso siamo in presenza della generazione con maggiore longevità lavorativa, quella in cui veramente l’idea predominante è legata al posto fisso, all’azienda in cui è possibile iniziare e finire la propria carriera lavorativa; questa generazione non nega il cambiamento ma lo vive più a livello personale che non lavorativo. Spesso sono persone che si sono trovate a dover reinventare la propria vita a causa della fine di un matrimonio o per un vissuto personale che li ha portati a dover rimettere in discussione tutto quanto fatto sino ad ora. Cambiamento anche nelle abitudini personali, cambiamento nel fisico, tutte cose con cui non è sempre facile convivere; in questo contesto la crisi ha dato una ulteriore mazzata, alcuni di loro si sono trovati a dover minare anche le poche sicurezze che avevano perdendo il posto di lavoro, dovendo gioco forza rimettersi in discussione a 360 gradi con enormi difficoltà.

L’incontro ha fatto emergere l’esatto spaccato generazionale che stiamo vivendo, in buona parte mi aspettavo questo tipo di reazioni, sono invece rimasto piacevolmente colpito dai giovani, perché credo abbiamo tutte le carte in regola per emergere e rendersi parte attiva del cambiamento avviandosi verso la strada del successo. Essere consapevoli che il mondo è cambiato, rendersi attivi e vigili verso nuove sfide, avere sempre voglia di aggiornare le proprie competenze, non porsi alcun limite geografico, vederli nuovamente affamati (ricordate il discorso di Steve Jobs “stay hungry stay foolish”?), quella “fame” che i senior e buona parte dei professional forse hanno perso per aver vissuto in epoche di forte agio che li ha portati a sedersi su quanto raggiunto dando ormai per scontato cose che in realtà la vita ci ha dimostrato non lo sono affatto.

Credo che tutti noi dobbiamo imparare dai giovani, dobbiamo rimetterci in discussione, guardare alla flessibilità non come allo straordinario ma come l’ordinario, ricordarsi che le competenze sono il nostro patrimonio più importante che va continuamente alimentato e ricordarsi che ogni difficoltà può essere tramutata in un’opportunità.

Alla prossima!!

SVEGLIAMOCI, oppure affondiamo…

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"Cambiare" questa la parola d'ordine
“Cambiare” questa la parola d’ordine

Pochi sanno che sono consigliere comunale in un piccolo paese della Vallesina (Marche), una esperienza che ho voluto compiere con altri semplici cittadini, stufi di lamentarsi senza fare nulla per il bene del nostro Paese, una lista civica trasversale la cui esperienza sta volgendo al termine. Venerdì scorso il Sindaco ha voluto indire un consiglio comunale aperto sullo stato occupazionale della Vallesina a cui hanno partecipato l’Assessore Regionale al Lavoro Marco Luchetti, il commissario della Provincia Patrizia Casagrande, esponenti del mondo sindacale locale, delle banche e di Confindustria.

Nel mio intervento sono tornato a calcare la mano in merito alla parola cambiamento di cui ho più volte discusso in questo blog e negli incontri a cui ho preso parte. Vi riporto un passaggio dell’intervento, sono fermamente convinto che il Paese tutto debba svegliarsi e mettere in atto il cambiamento, altrimenti il rischio è affondare inesorabilmente.

“La situazione occupazionale della Vallesina è sicuramente allarmante, corrisponde all’andamento regionale che rispecchia in gran parte il dato nazionale anche se con qualche punto percentuale migliore.

Il Rapporto dell’industria marchigiana del 2012 presentato nelle sede di Banca Marche qualche mese fa ci ha consegnato dati allarmanti circa la capacità di fare impresa delle aziende marchigiane, in particolare delle PMI che come tutti sappiamo costituiscono la spina dorsale del modello economico marchigiano.

La parola crisi deriva dal greco “krino” che significa discernere, valutare; non ha di per se l’accezione negativa che tutti noi tendiamo a dare, rappresenta indubbiamente un momento di riflessione. Ritengo con ragionevole certezza di poter dire che crisi è un sinonimo di cambiamento, non a caso la crisi arriva quando qualche cosa è cambiato nel mercato ed è solo con un momento di riflessione a cui far seguire importanti cambiamenti, che si può pensare di uscirne.

Cambiamento, questa è la parola chiave!! Una parola con cui molti tendono a riempirsi la bocca ma che pochi o nessuno al momento, mettono realmente in atto.

Tutti gli attori presenti nel mercato dl lavoro: imprese, lavoratori, istituzioni ed organizzazioni sindacali e datoriali, hanno l’obbligo di capire che questa non è una normale oscillazione del ciclo economico, ma una crisi strutturale dovuta ad un mutamento profondo degli assetti economici mondiali che ha spostato gli equilibri e fatto crollare in pochissimo tempo, teorie economiche ritenute inossidabili. Si pensi al famoso modello marchigiano, tanto osannato ed insegnato nelle scuole ed università italiane per decenni ma che oggi è diventato carta straccia.

Cambiamento dunque perché o si cambia o si soccombe! Vale per l’impresa, lo dicevo poco fa, piccolo non è più bello, oggi per competere occorre aumentare le dimensioni, occorre fare sistema, occorre fare rete, rete di imprese che insieme, con maggiori energie, competenze e potere economico possono affrontare i mercati internazionali. Gli imprenditori devono uscire dalla logica che il mio dirimpettaio è il mio nemico e capire che solo unendo le forze per studiare nuovi prodotti, ottenere credito, avere maggiore potere contrattuale e capacità produttiva si può affrontare la concorrenza internazionale e penetrare in mercati che da soli sarebbero impossibili da affrontare.

Internazionalizzare dunque non delocalizzare, una politica questa che può essere sembrata vincente nel breve periodo perché ha aumentato i profitti ma che è palesemente perdente nel medio lungo perché distrugge ricchezza e crea povertà, una povertà che inevitabilmente si ritorce contro le stesse aziende che l’hanno praticata.

L’Italia ha delle peculiarità e su quelle deve puntare: l’eccellenza nella moda, nel design, nel turismo, nell’alimentare, nel mercato del lusso, nell’alta tecnologia. Occorre innovare e farlo realmente, puntare su produzioni povere non è più pensabile quando all’estero questo tipo di produzioni viene realizzato a costi palesemente inferiori.

Va abbassato il cuneo fiscale per le imprese, non è pensabile che un lavoratore costi all’azienda oggi il doppio se non il triplo di quello che percepisce realmente, è facile capire che questa è una tattica perdente per la competitività delle imprese e per i lavoratori stessi ma anche per possibili investitori stranieri.

Il sistema finanziario deve tornare a concedere credito alle aziende ed ai cittadini, lo ha detto anche il Governatore della Banca Centrale Europea Draghi che ha dimostrato con i fatti di voler creare condizioni di miglior favore per le imprese e per la gente, condizioni però bloccate dalle banche che a parole si dicono disponibili ad andare incontro alle imprese ma che nei fatti continuano a tenere i rubinetti ben serrati.

Questi passi vanno fatti uniti ed insieme! Perché mai come oggi l’unione fa la forza, credo che la nuova presidenza appena insediata di Confindustria Ancona si voglia rendere interprete di questo desiderio di cambiamento imprenditoriale almeno questo è quello che si è evinto dalle parole di insediamento del Presidente Claudio Schiavoni AD di IMESA, una delle poche aziende della Vallesina che è un esempio di crescita da anni e che ancora oggi, in questa situazione, è in continuo sviluppo anche grazie ai paesi Esteri.

Cambiamento anche nei lavoratori, inutile prenderci in giro, lo dico da addetto ai lavori, il mercato del lavoro è cambiato, pensare che tutto tornerà come prima è anacronistico e assolutamente utopico; il posto fisso come lo intendevano i nostri genitori non esiste più, nell’arco della vita professionale cambiamo e cambieremo almeno 4/5 volte (dati del Ministero del Lavoro) il ns. percorso professionale ed i nostri figli probabilmente ne cambieranno 10 se non di più, a volte per ns. volontà, altre, come nel caso della crisi che stiamo attraversando, per volontà altrui.

Cambiare lavoro non deve essere vissuto come una minaccia, ma come una opportunità di crescita, significa rinnovarsi, aiuta ad innovare, ad acquisire nuove competenze, funge da stimolo a non adagiarsi su quanto raggiunto per scalare posizioni più migliori.

In un mercato del lavoro che è mutato, perseverare con le vecchie logiche di sostegno al lavoratore è una strategia non solo perdente per il lavoratore stesso ma anche per i conti di imprese e Stato. Dobbiamo mettere in pista nuovi strumenti a sostegno dell’occupabilità e del lavoratore.

In questo contesto la Riforma Fornero è stata solo un maldestro tentativo di cambiamento, iniziato con tutte le buone intenzioni ma naufragato clamorosamente al termine dell’iter di approvazione a causa dei veti incrociati di tutte le parti chiamate a dire la loro, con il risultato di partorire un obrobrio che invece di creare occupazione l’ha palesemente ridotta, modificando qualcosa solo in ambito di uscita del lavoratore. Sono sempre stato e continuo ad esserlo un fermo sostenitore della flexsecurity del prof. Ichino, l’unica vera riforma seria del mercato del lavoro da applicare in toto per facilitare il cambiamento che stiamo vivendo e per assicurare ai lavoratori maggiori opportunità occupazionali.

Veniamo quindi al cambiamento nelle relazioni industriali e nelle istituzioni.

Gli ammortizzatori sociali sono sacrosanti, ma vanno usati non abusati, conosco storie di lavoratori che sono in Cassa Integrazione da anni, in alcuni casi anche da decenni e che si trovano oggi, come ieri, senza alcuna possibilità di rientrare nel posto di lavoro. Con il risultato di essere rimasti fuori dal mercato del lavoro per anni, aver perso competenze e ritrovarsi oggi in condizioni di gran lunga peggiori rispetto all’inizio del periodo di cassa.

Occorre affiancare agli ammortizzatori sociali che sono per l’appunto passivi, politiche attive del lavoro adatti ai tempi mutati, che siano efficaci nell’ottica di assicurare NON la stabilità del posto di lavoro ma la CONTINUITA’ tra le diverse successive collocazioni lavorative, da realizzarsi innanzitutto attraverso un corretto incontro tra domanda e offerta. Fornire nei momenti di cassa integrazione momenti formativi SERI per permettere ai lavoratori di incrementare le proprie competenze e migliorare la propria occupabilità. Questo, secondo me, significa essere socialmente responsabili del futuro dei propri collaboratori e cittadini.

….

Questi dati fanno chiaramente capire come si possano mettere in pista, anche usufruendo di fondi europei come avviene in almeno tre regioni dl nord Italia, servizi che supportino il lavoratore nel trovare queste opportunità che il mercato comunque offre.

….

In definitiva occorre che alle misure a sostegno della crescita del sistema Paese, di cui oggi tanto si discute, vengano affiancate altrettante politiche attive a sostegno dell’occupazione e del lavoratore che, in caso di perdita del posto di lavoro ed in ottica di responsabilità sociale, non va abbandonato a se stesso ed al fai da te, ma accompagnato ed orientato ad intraprendere nuovi percorsi professionali e incoraggiato a cogliere nuove opportunità magari più interessanti e stimolanti.

Cambiamento dunque, questo il verbo che dobbiamo tutti impegnarci a mettere in pratica se vogliamo uscire da questo pantano, ritrovando un modo etico di fare impresa basato sulla coesione di tutte le forze in campo: politiche, imprenditoriali, sindacali ed umane.

Chiudo con una frase in cui mi sono imbattuto solo ieri, è di Robert Kennedy e dice “Il cambiamento, con tutti i rischi che comporta, è la legge dell’esistenza”.”

Alla prossima!!

“..cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai vola..”

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Dal titolo del post immagino che qualcuno si sarà chiesto “ecco, ce ne siamo giocati un’altro” e invece no, niente di tutto questo, il titolo è semplicemente un pezzetto della bellissima poesia di Quinto Orazio Flacco citata nel film “L’attimo fuggente” (a proposito guardate il video), poesia che avrete sentito centinaia di volte ma che, forse, non avete mai ascoltato veramente; per tale motivo voglio riportarla ancora una volta:

O vergine cogli l’attimo che fugge.

Cogli la rosa quando è il momento,

che il tempo, lo sai, vola,

e lo stesso fiore che sboccia oggi,

domani appassirà.

In poche frasi è racchiuso un messaggio che ci affascina ma che troppo spesso tendiamo a non ascoltare, tendiamo a mettere da una parte.. a dire “si bellissimo ma poi… nella pratica, facile a dirsi”. Certo, la vita di oggi ci assilla con mille problemi, il lavoro, la quotidianità, lo stress.. siamo presi dell’ordinario ma tralasciamo tutto quello che è straordinario.

Tralasciamo cioè, tutto quello che di bello ci potrebbe capitare se solo trovassimo il tempo per fermarci un attimo ad analizzare la nostra vita sotto tutti gli aspetti e capire se quella che stiamo vivendo è ciò che abbiamo sempre sognato o se, invece, occorre dare una riassettata alla nostra esistenza per riportarla nella direzione giusta.

Sento già le obiezioni che solleverete, so bene che la resistenza al cambiamento ci tieni fermi, immobili, così come l’influenza delle convinzioni limitanti che ci siamo costruiti giorno per giorno; uscire da quella che in gergo chiamiamo la “zona di comfort” fa paura, perchè rimanere in quella zona che ben conosciamo, ci piaccia o no, ci da in fondo sicurezza.

Cambiare significa, spesso e volentieri, andare incontro ad un terreno sconosciuto ed è qui che si innestano le parole di Orazio “cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai vola e lo stesso fiore che sboccia oggi domani appassirà”, se non troverete il coraggio di cambiare, di prendere in mano la vostra vita e di aiutarvi a rendervi felici, nessuno potrà farlo per voi, il tempo passerà e voi appassirete, esattamente come la rosa di Orazio.

Qui subentra un secondo aspetto da tenere conto, spesso riusciamo a fare il primo passo, ovvero riusciamo a capire che occorre cambiare (nel lavoro, nella vita, ecc.) che dobbiamo dare una svolta, ci manca però l’energia necessaria per fare quel passso fuori dalle nostre consuetudini. In questo contesto il Coaching è sicuramente un supporto per chi vuole realmente cambiare ma teme di non farcela da solo; il Coach affianca la persona e la supporta nella strada verso il cambiamento, lo assiste nel momento in cui dovrà autodeterminarsi gli obiettivi, a mettere a punto il piano di azione, lo aiuta ad agire su quelle convinzioni limitanti creando un nuovo punti di vista da cui vedere la propria vita; insomma lo supporta dal presente percepito sino al raggiungimento del futuro desiderato.

Come Coach professionista, alle persone che sentono il bisogno di cambiare, faccio fare una breve autovalutazione della situazione attuale rispondendo alle domande e compilando il modulo che trovate cliccando nel link a fianco ( RUOTA DELLA VITA Zuccaro ) si chiama Ruota della Vita molti Coach la usano con varianti più o meno diverse; se fatta con sincerità ed onestà vi darà una fotografia reale di quello che è la vostra vita oggi, indicandovi quali sono le aree dove agire con priorità. Una volta che avrete chiaro il quadro…. agitecarpe diem….  e se avete bisogno di aiuto, sono qua.

Alla prossima!!

La biblioteca di RU e dintorni: CHI HA SPOSTATO IL MIO FORMAGGIO? – Spencer Johnson

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Chi ha spostato il mio formaggio?Dopo aver inaugurato con l’ultimo post una sorta di rubrica su cui tornerò di tanto in tanto dal titolo “Il vocabolario delle Risorse Umane”, mi è venuta una nuova idea, quella di lanciare la rubrica inerente i consigli personali per la lettura, chiaramente in ambito professionale.

Premetto che nessuno mi paga, sono consigli spassionati su libri che ho letto e che leggerò, contenenti spunti interessanti in ambito professionale.

Parto da un libriccino piccolino, semplice, persino banale nella storia ma che in realtà raccoglie una metafora importantissima, l’importanza di saper reagire ai cambiamenti evitando la passività, il libro si intitola CHI HA SPOSTATO IL MIO FORMAGGIO? Scritto da Spencer Johnson ed edito da Sperling & Kupfer.

La storia di due topolini di nome Nasofino e Trottolino, e due gnomi Tentenna e Ridolino, vivono in un labirinto e sono alla ricerca costante del formaggio. Il labirinto rappresenta la vita, mentre il formaggio è la metafora di quello che vorremmo avere dalla vita. Nel libro affrontano cambiamenti inattesi (la fine del formaggio), ognuno li affronta in modo diverso: chi rimane ostile al cambiamento e finisce per rimanere isolato e sofferente, chi si attiva immediatamente e nemmeno si accorge delle novità, chi invece si muove dopo aver meditato a lungo sul da farsi. Vivere il cambiamento in positivo, vincere le paure e le resistenze al cambiamento è la chiave di volta per subire meno stress ed ottenere successo, lavoro o vita che sia.

Un racconto adattabilissimo anche alla situazione attuale economica italiana, il mondo sta cambiando, illusorio pensare di mantenere uno status quo che non può più essere mantenuto.

Buona lettura